sabato 15 febbraio 2014

Relitti casuali

 Dopo qualche giorno di astinenza causata dalla morte della scheda audio, mi sono reso conto di quanto mi è ancora necessario distrarmi da ogni cosa, e ancora una volta ho dovuto arrendermi al fascino immortale del cinema come suprema arma di distrazione di massa, e di Hollywood, come abbiamo visto poco fa, "ramo del governo" assieme ai settori militare e industriale;


Captain Philips di P. Greengrass (2013)
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tratto da un evento di cronaca che ebbe per protagonista l'uomo del titolo, è candidato a sei Oscar, tra cui quello per il migliore "supporting role" (cioè attore non-protagonista) per il filiforme Somalo Barkhad Abdi



quantomeno verosimile nel ruolo del pirata affamato, disperato


e ovviamente strafatto di khat; il film è essenzialmente un duello recitativo tra costui e il vecchio Tom Hanks


nella parte -guarda un po'- del Capitano Philips


che è stato nominato al Golden Globe, assieme al collega Africano, ma nessuno dei due ha vinto; alla buona riuscita del film contribuisce senz'altro tutto il cast, e in part. i colleghi di Abdi


che movimentano e colorano il set abbastanza da farlo apparire simile a quello di un documentario; per chi si ricorda quelle interminabili traversate del Mediterraneo sui battelli stracolmi in rotta per il Dodecanneso, la situazione "ostaggio del mare in un forno sovraffollato" sarà una buona occasione per una calda ondata di memorie felici; o meno; 
Captain Philips è decisamente un film da Oscar, e purtroppo questa sua qualità è la più rilevante in assoluto;

la modellattrice Rachel Nichols (Star Trek) sembra essere la protagonista di


Raze di J. C. Waller (2013)
ma dal momento che il film è uno strano ibrido fra il sottogenere dell' exploitation movie noto come "Women-in-prison" (WIP) e quello di arti marziali, con la giusta dose di gore necessaria al duello mortale e un finale Vendetta, la primadonna si rivela presto essere (Alert... spoiler)  Zoë Bell


(!!) as Sabrina

che, detto fuori dai denti, non sarebbe una gran bellezza neanche come uomo; in compenso picchia come un fabbro e in questo frangente filmico non si potrebbe chiedere di meglio; 


avevo visto qualcosa di simile soltanto nel pessimo 13 (2010), che però era interpretato solo da uomini, e tutti armati; qui ci sono solo donne, condannate ad eliminarsi fra loro a suon di pugni, calci, tirate di capelli e l'occasionale ditata negli occhi; un paradiso per il misogino estremo, quasi un inferno per il cinefilo accanito; ma la genuinità dell'opera, firmata dal figlio di un allevatore californiano, è quasi commovente, qua e là addirittura coinvolgente; Waller trasforma il personaggio classico della donna-reclusa-dai-capelli-lunghi-scompigliati- vestita-solo-con-una-canotta-bianca-e-pantaloni-della-tuta-che-evade-atleticamente, ruolo che fu in origine della indimenticabile Linda Hamilton/Sarah Connors in Terminator 2 (1991)


in una sorta di icona filmica clonata all'infinito


e destinata da principio all'autodistruzione, o meglio, alla distruzione della sua propria imago; purtroppo lo sforzo per utilizzare questa chiave di lettura iconoclastica come attacco diretto agli stereotipi hollywoodiani è decisamente superiore al poco intelligente e malsano godimento di un WIP (women-in-prison) movie, con la dose extra di combattimenti all'ultimo sangue; ma Raze ci offre la sua ambivalenza come un'occasione rara nel panorama cinematografico, da non lasciarsi sfuggire specie se il film è super-seminato nel torrent e non avete la minima idea di che cosa sia.

Ciò che è degno di nota di entrambi i film è la presenza (fino a questa sera sconosciuta) in entrambi i casi di due relitti di Twin Peaks (il serial del 1990): Chris Mulkey, il caratterista che interpretava Hank Jennings


si è imbarcato come marinaio semplice in Captain Philips

mentre la ex-angelica Sherilyn Fenn, divenuta famosa come Audrey Horne


in Raze appare come spietata MILF dal grilletto facile e decisamente fuori forma


che si distingue a fatica fra le poltrone;

il che aggiunge al film quel tocco di malinconia corrosiva e pathos inatteso che può rendere interessante l'opera di Waller. Specialmente dopo un'overdose di eroina.

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