venerdì 6 marzo 2015

Pixeland

La vita per me non è, come pensavo fino a qualche momento fa (ore, giorni, mesi?) simile ad un sogno; quella che siamo abituati a considerare vita è qualcosa che in questa stessa condizione non siamo generalmente in grado di ri-conoscere e distinguere da altro, così come facciamo con il 'sogno'; il fattore 'tempo' è determinante, precipuo nel rendere 'reale' (realistica?) l'esperienza, perchè malgrado il tempo "non esista" esso è l'involucro delle dimensioni fisiche, o spaziali; gli stessi scienziati che oggi ipotizzano l'assenza di un oggetto reale e dimostrabile chiamato 'tempo' possono sprecare decenni, tutto il loro tempo vitale, nel tentativo di comprovare questa teoria, come coloro che volessero smentirla; ne varrebbe la pena?
Il 'tempo' è il contenitore virtuale dello 'spazio', non esisterebbe spazio materiale senza una dimensione temporale, ma del resto cosa ce ne faremmo di un tempo se non esistesse un qualche genere di spazio in cui manifestarsi? Accettiamo dunque che esista un continuum tempo-spaziale, proporzionato al periodo di tempo trascorso in questa condizione, e prendiamo questa realtà per buona come una base per accomodare la nostra visione materialistica; ma non facciamo altro.
La mia intuizione, al di là della mera accettazione filosofica, è che 
"la vita è un dejà-vù, e quei momenti che chiamiamo dejà-vù sono i rarissimi istanti in cui ce ne rendiamo conto"
il così detto dejà-vù ha questa caratteristica essenziale che lo distingue dal così detto sogno, che lo esperiamo sempre e invariabilmente durante lo stato di veglia, non possiamo in alcun modo confonderlo con una visione onirica ma, a cagione della sua caratteristica indefinibile, per la quale ci "sembra" di aver già vissuto un dato "momento" esso elude la nostra logica di cui partecipa un senso cronologico, ovvero la percezione dello 'scorrere' del tempo; questo lo rende 'unico' e in qualche modo particolare, rivelando la natura irreale del tempo cosiddetto che noi percepiamo come anomalia, e infine siamo costretti ad accettare;
il tempo di fatto non scorre, non va mai da nessuna parte, e se possiamo ancora accettare che esista in una qualche forma teorica di un "tempo" distinta da quella che percepiamo come "spazio", dobbiamo riconoscere che esso esiste in maniera assoluta così come lo spazio multi-dimensionale che ha luogo in esso, infnitamente mutevole e ciclicamente uguale, un segmento della frattalità cosmica, e nel caso particolare dell' essere umano che l'uno e l'altro oggetto corrispondano ad una forma di realtà particolare, differenziata, che siamo in grado di percepire solo durante la veglia; che appartiene esclusivamente alla condizione di 'coscienza ordinaria' che corrisponde in genere alla veglia; se postessimo trascorrere 20 delle 24 ore di ogni giorno a dormire, quelle quattro ore in cui non sognamo e "viviamo" ci apparirebbero come momenti di una irrealtà immutevole, forse non  molto diversa da quella vissuta in sogno al di là dell'apparente stabilità, ma forse ci interrogheremmo anche sul significato occulto delle esperienze che avremmo durante la veglia, esperienze spesso apparentemente inspiegabili e inspiegabilmente confuse...
Tutto quello che invece possiamo accettare o rifiutare riguardo la sfera meta-fisica, è indefinitamente più complicato, perché è certamente in questo tipo di ricerca che per l'uomo è possibile trovare delle risposte concrete, soddisfacenti e invariabili -nel tempo e nello spazio- ma essa non pone limitazioni di sorta durante la sua evoluzione e pertanto tende ad avere la medesima durata del ricercatore; non è nemmeno possibile evitare questo aspetto della questione, dal momento che ogni 'conferma scientifica' pone puntualmente l'uomo di fronte alla medesima meraviglia del cavernicolo che scopre il fuoco, rivelando ogni volta l'immensità della sua ignoranza come unica fonte del Grande Mistero, qualunque sia l'ambito in cui esso viene indagato;
il motivo di questo mio moto filosofico, che consegue alla intuizione sul dejà-vù avuta durante l'osservazione quotidiana del Sole, deriva da una osservazione che al contrario non è affatto personale, e si può considerare in effetti come la mera riproduzione della realtà ottenuta con uno strumento digitale, ovveero un'altra comunissima fotografia a bassa risoluzione, scattata con il telefonino, nell'unico angolo della via cittadina in cui appariva la luce del Sole oggi pomeriggio; non voglio mettere in discussione la possibilità che questo effetto sia altrettanto comune e che dipenda dalla rifrazione della lente o da una sorta di corto circuito ottico dovuto all' azione diretta della luce solare sui circuiti elettronici incaricati di catturare l'immagine; al contrario, lascio la più completa libertà di interpretazione all'osservatore, e alla sua dimestichezza con questa materia, ma per chi osserva il Sole e ha conoscenza della sua entità metafisica questa immagine può suggerire qualcosa che va oltre l'immagine stessa, oltre le mie parole, o pensieri del lettore, e oltre ogni altra cosa che siamo pronti ad accettare come reale Qui e Ora; potrei addirittura considerarla Arte:


o soltanto un raggio di Sole su una via oscura

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