sabato 31 ottobre 2015

Anime in pena

"Film fatto da un ragazzo con una videocamera e un computer -- ma un Mac"

Speciesism: The Movie di M. Devries (2013)

C'è un problema di fondo che viene ignorato (anche) in questa indagine sui "diritti animali" nell'ambito del loro allevamento industriale, quello che consideriamo immaginando un mondo non-specista, in cui il pollo, il maiale, la vacca e il coniglio vengono trattati con i guanti bianchi, e dove i carcerieri si comportano come dovrebbero gli allevatori, e come fece Gulliver con i cavalli, come semplici servi dei loro ostaggi, sostenendo il peso di un aiuto morale per gli ergastolani morituri che si esprime nella presenza e nella cura fisica e nell'attività del foraggiamento;



in questo quadro utopico la questione etica si pone ugualmente in maniera opposta rispetto al trattamento "inumano" o "poco umano" destinato nella realtà industriale ai "capi" rinchiusi negli allevamenti in batteria, ed è la questione più fondamentale, quella che riguarda la loro sorte, programmata da principio; sono miliardi di prigionieri torturati quotidianamente per tutta la durata della loro vita, laddove la sola mancanza di libertà è una pena più o meno inimmaginabile per un animale nato da sempre in gabbia, come l'uomo, mentre l'istinto  della fuga non muore mai in nessun animale, e il trattamento che viene loro riservato è relativo alla loro stessa presenza nell'ambiente umano, in una attività (sempre fiorente) che infine dipende soltanto dalle (pessime) abitudini alimentari dell'uomo, le quali sappiamo benissimo essere supportate solo ed esclusivamente da preconcetti, menzogne, ignoranza e dogmi scientifici (o leggende urbane, come quella delle proteine) che non corrispondono alla realtà biologica dell'essere umano; perché l'uomo non ha bisogno di animali di nessun genere per il proprio sostentamento, tantomeno da morti, e già questa semplice nozione dovrebbe indurre chiunque ad una seria riflessione su ciò che sono le abitudini, la distinformazione, i preconcetti, e la pura e semplice ignoranza;



ma tornando al discorso di fondo, come si può pensare che il trattar bene delle creature inevitabilmente private da principio del loro bene più prezioso, la libertà, e destinate inesorabilmente ad una morte violenta, possa elevare la statura morale dell'umanità in virtù di quegli stessi princìpi etici che ne hanno permessa la cattività e ne giustificheranno un giorno l'uccisione, con la scusante di un "fabbisogno" nutrizionale confutata da migliaia o milioni di esseri umani vegetariani?
Esiste un temine meno banale e meno inoffensivo di "ipocrisia" per descrivere questa condotta?
Parafrasando l'autore di Specieism, "io non vi dò le risposte, ma le domande", e infine la ricerca di una risposta si può intendere come il fine di ogni essere umano, a proposito di ogni cosa e di tutto, a partire da sè stessi; 



oggi gli onnivori hanno accesso alle stesse informazioni riguardo le conseguenze del consumo di cadaveri sulla propria salute che hanno i vegetovori, e quindi esiste un minimo grado di coscienza sociale del fenomeno; soltanto ieri la Organizzazione Mondiale perla Salute ha emessa una pesante sentenza contro le "carni lavorate" e in secondo luogo contro quelle "rosse", accusate di causare il tumore, alleggerendo forse la pena dell'arsenico nel pollo e del mercurio nel pesce, che in teoria rimangono invariati;
anche in questo caso, che sia giusto o meno "imbalsamare" il pollo con l'arsenico per farlo sembrare meno morto di quello che è, o di innaffiare il macinato con l'ammoniaca per uccidere l'E. coli, etc. etc., sono sempre questioni secondarie, relative alla domanda di fondo: sarà poi giusto mangiare un cadavere, per quanto "vivace" riescano a farlo sembrare? 

Il mio giudizio finale sull'opera di Devries sarà positivo per esser quello del vegano convinto, che può solo sostenere lo sforzo di una produzione apparentemente disinteressata per la diffusione di informazioni perlopiù inedite, e che interessano una questione universalmente valida come quella etica nel frangente del disastro karmico replicato ogni giorno, da secoli e secoli, e in un contino aggravarsi direttamente proporzionale alla crescita demografica; ma infine si tratta di una scelta personale, e non possiamo confidare nella reazione di un pubblico che si interroga sulla "umanità" del trattamento riservato ai prigionieri condannati a morte, che sono decine di miliardi ogni anno; lo spettatore dovrebbe arrivare da sè a porsi la domanda "sarebbe poi 'giusto' divorare le carni di una creatura senziente, che è stata comodamente ospitata e nutrita con ogni riguardo -come lo sono altre specie "domestiche"- per la breve durata della sua vita, quando una rivoluzione globale nel settore dell'allevamento avesse già portato gli uomini a trattare i loro prigionieri condannati a morte come loro pari?" Ma se questo "sogno" tra virgolette si  realizzasse mai, quanto sarebbe cambiata l'umanità, e dove si troverebbero allora tutti i boia necessari per sgozzare le vacche e i maiali e per decapitare i polli indispensabili per l'economia mondiale? 
E allora, chi avrebbe il coraggio di mettersi in bocca i poveri resti del caro estinto? 

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