mercoledì 30 aprile 2014

Il colosso di silice

Quando un calcolatore elettronico di potenza pari al PC su cui scrivo adesso avrebbe occupato un palazzo, mentre un modello "medio" dell'epoca si poteva comodamente disporre in una stanza -al posto dei mobili- un mostro a transistor come quello del film avrebbe riempita letteralmente un'intera montagna, come vediamo qui:

Colossus: The Forbin Project di J. Sargent (1970)
☻☻+

Almeno da questo punto di vista, dobbiamo ammetterlo, si sono fatti passi da gigante negli ultimi trent'anni; abbiamo visto da poco "Wargames contro Tokyo Monogatari", Colossus precede di oltre un decennio Wargames (1983) (ma il soggetto della minaccia termonucleare era già divenuto popolare grazie a Dr. Strangelove e Fail Safe nel 1964) e non di meno il super-computer protagonista e titolo del film di Sargent non ha alcuna voglia di giocare; già nel primo tempo infatti lancia una testata nucleare contro la Russia; e il suo rivale e collega Sovietronico non tarda a rendergli pan per focaccia:

...

non è questa l'unica sorpresa, di un film non sorprendente, che non promette la tensione drammatica o l'umorismo satirico dei suoi più famosi predecessori e successori, nella lista dei thriller termonucleari, ma non di meno si lascia vedere tutto, anche grazie al potere ipnotico delle immagini Technicolor-Panavision

immagini decisamente all'avanguardia, nel 1970, con la presentazione del "Martini perfetto"

e con un protagonista non-elettronico tanto popolare (all'epoca) quanto scialbo, l'onnipresente Hans "Eric Braeden" Gudegast, che il pubblico televisivo ricorda senz'altro in almeno una delle sue tante apparizioni, e che qui sfonda la quarta parete, al culmine della disperazione


quando i due nuovi consociati cervelloni, l'Americano e il Russo, a onta delle perenni rivalità tra i governi dei loro Paesi decidono di unire i loro sforzi per sottomettere equamente l'umanità al benessere calcolato dalla loro logica matematicamente esatta, e il sintetizzatore vocale di Colossus sintetizza la fatidica battuta: "Obbeditemi e vivrete, disobbedite e perirete." (comunque sia stata tradotta nella ver. it., il senso è quello)...

I "computers" del 1970 utilizzavano unità a bobine


quando questa era una telecamera:


ma la minaccia del cervello elettronico bacato non era meno spaventosa di quanto lo è sempre stata per l'umanità, almeno dai tempi dell'Albero Huluppu;


specialmente se può guardarti anche quando sei in bagno

cosa che ci ricorda, oltre all'inevitabile Hal di 2001, il perfido Proteus di Demon Seed (1977) nella lunga serie (super) computer contro umano;

uno dei "trucchi" più antichi del film futuribili: la video-conferenza -- qui in Technicolor
Film straordinariamente semplice, "leggero" e quasi-disneyano malgrado la gravità del tema, ci offre tra l'altro l'occasione di rivedere volti ancor più popolari di Braeden, come la giovane Marion Ross

(meglio nota come mamma Cunningham in Happy Days)

e l'immarcescibile Georg (!) Stanford Brown


il cui nome ricordiamo tra l'altro nei titoli di testa del serial The Rookies (1972/76) e nei due Roots (Radici - 1977 e 1979);

per le curiosità, notiamo che mentre il simbolo del cervellone Russo Guardian è la tradizionale stella rossa:

ovvero un pentagramma con la lettera "G", che accidentalmente sono anche due simboli massonici;
per quello Americano si è scelta una simbologia ancor più occultistica, con la C (e un atomo) in un triangolo


che ricorda vagamente l'occhio della provvidenza...


anche nel merchandising


e a proposito, qui c'è una visione fugace dell'obelisco in Piazza San Pietro;

ma sopra tutto va menzionato ciò che è molto più di un simbolo, in effetti è una serie completa di simboli (alfabetici) che segnarono, in modo assolutamente letterale, una lunga epoca:


(anche in versione BOLD-BLACK)

un mega-computer che si apprestava a dominare il mondo nel '70 non avrebbe potuto esprimersi altrimenti.
Oggi probabilmente utilizzerebbe un Arial.

martedì 29 aprile 2014

77

Stranamente, in

The Palm Beach Story di P. Sturges (1942)
☻☻

non si beve e non si fuma continuamente, come accade in genere nei film dell'epoca: il film in compenso ha uno scarso senso del tempo rispetto alle esagitate, nevrotiche -e spesso anche ebbre-  screwball comedy più famose, compreso il famoso Sullivan's Travel (1941) dello stesso regista e con lo stesso attore, il cowboy Joel McRea


qui affiancato a Claudette Colbert, che è in effetti la vera protagonista

com'è ovvio;

e con "la prima popstar nella storia della musica", Rudy Vallée



nei panni del plutocrate generoso, che purtroppo per noi si esibisce in una serenata alquanto vintage, usando l'eufemismo che va per la maggiore su internet; da quanto leggo su Wikipedia non è questo il titolo che ha reso immortale il nome di Sturges; ma dovrò accertarmene di persona;

con un cameo alla Hitchcock dell'autore e regista, che porta i bagagli della signora:


Malgrado il parere degli esperti, non ho potuta apprezzare la ricchezza delle trovate comiche, e i personaggi sono più o meno bidimensionali; dopo tutto il film non è proprio tra i primissimi nella classifica delle cento migliori commedie Americane di sempre, è al 77mo posto... Ci sarà un motivo?
Prima o poi, ce ne sarà uno.

Hermanos Galacticos

28 Aprile 2014 - Data storica; sono stato invitato -e ho ovviamente accettato- ad iscrivermi al Gruppo di Facebook ANDROMEDA Y LOS HERMANOS GALACTICOS:


da oggi appartengo dunque alla fratellanza cosmica che comprende gli Andromediani, di cui abbiamo appena scoperta la presenza sulla Terra -almeno, nel cinema Coreano;
tutto bene, fintanto che nessun pazzo Coreano ci rapisce con l'intento di farci cantare...

(il post è datato 29 perché è rimasto una bozza fino a questa mattina, seconda data storica)

Nudi alla meta

Seconda data storica, oggi, quando su Facebook entro a far parte del gruppo The World of Nudibranchs:


It's a wonderful world...

venerdì 25 aprile 2014

Cheers

Il New York Post usò una foto di Mickey Rourke in questo film, per l'articolo sulla morte di Charles Bukowsky (1920-1994):


Barfly di B. Schroeder (1987)
☻☻

ovvero, una semi-biografia parziale di Bukowsky, rappresentato dal suo alter-ego Chinaski, impersonato da Rourke; se c'è una buona battuta in questo film è questo "appunto mentale" dello scrittore:
"Some people never go crazy. what truly horrible life they must live."
(Qualcuno non diventa mai pazzo - che vita veramente orribile devono vivere.)
Purtroppo il bere non aiuta.

A proposito, non ho scaricato questo film, che per quanto ne so è ancora online su youtube in una copia quasi-HD più che decente, di cui vedete qui degli screenshots, nel caso non l'abbiate mai visto in lingua originale (Inglese Americano!!), cosa che valeva anche per me fino a questa sera; il film di Schroeder non è un capolavoro del cinema ma ci presenta una coppia improbabile come la vecchia Dunaway e il giovane Rourke, che scimmiotta letteralmente Bukowski con una notevole recitazione di spalle, ad alta gradazione alcolica;


sullo sfondo della sempre assolata L.A.

di cui ovviamente si vede ben poco, ma si percepisce comunque
nelle inquadrature molto teutoniche di Robby Muller, famoso come "il DoP di Wenders";


che, malgrado tutto, fanno la differenza; l'ambiente losangelino comporta delle apparizioni che per il cinefilo sono inevitabilmente associate all'universo lynchiano, a partire dal compianto Jack Nance

investigatore privato

a due comparse non altrettanto note, come Pruitt Taylor Vince

(che appare assieme a John Lurie in Wild at Heart)

e questa orribile... cosa

 
che ci aveva già spaventati in Mulholland Dr.; cosa sia, però, non lo so e non voglio saperlo.
Questo film mi ha ricordato che l'alcool è la madre di tutte le droghe, e non è affatto buona.

La mela verde*

Chi ha visto

O lucky man di L. Anderson (1973)

non avrà potuto fare a meno di notare la quantità dei dettagli in comune con il film di Kubrick, A clockwork Orange (1971), che aveva reso il protagonista Malcom McDowell incredibilmente famoso nel giro di qualche giorno; senza contare gli ammiccamenti meno ovvi di cui leggiamo su IMDB, riporto quelli più evidenti tra cui


la manipolazione non-genetica degli occhi cerulei dell'attore (a cui dicono "Hai gli occhi come Steve McQueen") nella clinica in cui viene assunto come cavia umana, che porta poi ad un più ovvio rimando con la comparsa degli elettrodi


e il conseguente salto dalla finestra


anche la presenza del turpe figuro a nome Warren Clarke


che già fece parte dei droogs si può ben considerare un "aggancio" valido (non è l'unico nel cast) così come la sequenza in cui il Ns. viene assalito dai meths drinkers


e la "conversione" (in tutt'altri termini) del personaggio, attraverso le sue letture in prigione:


A proposito di "rimandi viventi" il monolitico Philip Stone, che tutti ricordiamo come Delbert Grady in The Shining (1980)


era anche il padre di Alex De Large in A Clockwork Orange. Qui, come quasi tutti gli attori nel cast, interpreta più di un ruolo; dopo l'aguzzino militar-burocratico qui sopra eccolo come maggiordomo


e infine come maggiore del Salvation Army


Al di là di tanti richiami e ammiccamenti ("nods"), e al di là di ogni possibile curiosità il film di Anderson ha ben poco da spartire con l'opera di Kubrick oltre lo zeitgeist dell'epoca,  e agli occhi dello spettatore neomillenarista appare come una innocente satira contro la borghesia e il conformismo, il tema dominante nella cinematografia internazionale dal '68 in avanti, di cui abbiamo visti numerosi esempi proiettati nei più svariati contesti socio-culturali; la maggior parte di questi film, che nell'insieme dipingono lo spirito "rivoluzionario" sessantottino


oggi sono soprattutto documenti d'epoca, e tra loro ricordiamo -a stento- il flebile, inconsistente If... (1968, appunto) dello stesso regista, e con lo stesso protagonista, ma senza una Arancia Meccanica da cui attingere qualche goccia di acido;


come ricordiamo (nel post), If era basato sul "film" (tra virgolette) di Vigo Zero de conduit (1933); questo è una "libera interpretazione" del Candide di Voltaire (scritto nel 1759!) che include la base originariamente autobiografica di McDowell come venditore di caffé; dobbiamo ammetterlo, come autore rivoluzionario Mr. Anderson si è affidato un po' troppo alle altrui rivoluzioni per potersi dire davvero rivoluzionario...

Una frustatina tra un processo e l'altro è il vizietto segreto del giudice (oh, my goodness...)
La piccola odissea di Mick Travis, da rappresentante di caffé a segretario del boss, a galeotto, a cavia umana, a eroe mancato e vittima della teppa urbana, con qualche inevitabile sveltina di mezzo, ha il pregio di suggerire qua e là una sorta di vaghezza onirica nel suo perenne vagare di set in set, supportata anche dalla  epidemia di personalità multipla di quanti sono interpretati dai medesimi attori; 

I sobborghi di Londra visti da Miroslav Ondříček (poi nominato all'Oscar per Ragtime e Amadeus)
forse un metraggio meno sovrumano (178') lo avrebbe reso meno indigesto, anche se per quanto mi riguarda non ho dubbi sulla mia particolare antipatia per questo film, che si riassume nel nome: Alan Price


ovvero l'autore delle canzoni in stile "British folk" che accompagnano le disavventure di Mick, e che purtroppo spesso egli interpreta per intero, assieme alla band, interrompendo la narrazione; ciò ha resa inevitabile per me l'infamia rappresentata dallo skipping, che solitamente mena al mio giudizio finale di inclassificabile; paradossalmente, in questo caso "rivoluzionario", è il valore storico dell'opera a reclamare la faccina sorridente. Ma smunta.

Con un cameo di Anderson


nel ruolo di regista. Poco credibile.

Se potessi riassumere il mio giudizio in una parola, come facevo un tempo, scriverei: "Preistorico".
E lo faccio!!!

*) L'unica cosa buona che si veda qui

giovedì 24 aprile 2014

Così vicini... così lontani

Da anni ormai aspettavo di vedere

Vernon, Florida di E. Morris (1981)
☻☻

e nel frattempo ho vista gran parte della serie Interview Project di David Lynch, di cui questo potrebbe essere l'episodio pilota, ambientato nella cittadina del titolo; questo non rende i protagonisti del documentario di Morris meno originali -nel senso più ambiguo possibile del termine


ma anche questi, come tutti i protagonisti del serial lynchiano online, non sembrano esser dotati di qualità intellettive tali da poter volgere la loro obliquità a favore di qualcuno, e tantomeno di loro stessi; 
il cacciatore di tacchini, che ammira molto l'intelligenza delle sue prede ("sono i migliori uccelli che abbiamo")


sembra in effetti reduce di una guerra quotidiana contro i "gobblers", affetto da stress post-traumatico cronico, e destinato ad un perenne confronto in cui le strategie sono eque, a differenza degli armamenti;
una catena di eventi ha menato invece quest'uomo


al possesso dell'agognato furgoncino che può sfoggiare sorridendo all'intervistatore; non è un racconto entusiasmante, ma forse in realtà l'uomo è lo stesso cacciatore di prima in abiti da carpentiere;
sapete quante volte è ripetuta la parola "therefore" (pertanto) nel Vangelo?
Chiedetelo a lui, o meglio seguite il suo sermone in questo film per saperlo:


perché lui le ha contate, e le sue conclusioni a proposito sono quantomeno risibili, e prive di un senso logico che si possa dir tale, come gran parte di ciò che dicono i predicatori; ma forse la cosa più interessante è il fatto che costui potrebbe essere lo stesso carpentiere di prima, con l'abito della festa...
Al di là della somiglianza tra i vari soggetti, non ho trovato particolari motivi di interesse nell'opera di Morris, che in origine avrebbe voluta essere basata sulla più intrigante trovata di alcuni abitanti della zona Sud della città, che si erano amputati degli arti (non meglio specificati) per farla in barba all'assicurazione; le minacce di morte ricevute dall'autore lo convinsero infine a ripiegare su questo film-intervista in cui ha permesso ad altri - benché meno scaltri - abitanti di Vernon di farsi conoscere nel mondo. 


Fare questa conoscenza per il blogger non è stato esattamente un piacere, ma il film è una ennesima conferma del fatto che i personaggi meno probabili che si possano vedere su uno schermo non sono invenzioni degli sceneggiatori di Hollywood, sono i nostri vicini di casa. Soprattutto, se abitiamo in Florida.
A Vernon.

Prima di scoprire il mostruoso inganno cibernetico di The Matrix, i F.lli Wachowsky ne erano parte integrante, come dimostra il loro film d'esordio


Bound di A. e L. Wachowsky (1996)
☻☻+

ovvero una produzione indipendente in stile Hollywood basata sulle tre "S" dei film di gangsters: Sesso, Soldi e Sangue; la novità importante è che il -poco- sesso che si vede qui è quello tra le due protagoniste femminili (e non le protagoniste maschili =), ovvero la rude, atletica, manesca e idraulica Gina Gershon -certificata kosher- e la venerea Jennifer Tilly, che fu sposata per qualche tempo al super-giudeo Sam Simon, complice di Groening nella produzione dei Simpsons; costei vanta (anche) sangue "First Nations" nelle vene:


quanto basta per renderla simpaticamente particolare;


(e con un make up da Oscar)


(per non parlare della toilette);

protagonista maschile è Joe Pantoliano, che poi avrebbe tradito Neo nella saga di Matrix, e qui veste comodamente i panni eleganti di Caesar (in realtà Cesare, come sentiamo dire poi da Christopher Meloni as Johnnie Marzzone, con due "Z" dopo la "R"!!), nella parte del picciotto


il cui ruolo nella Famiglia è rappresentato molto chiaramente - e ironicamente - nel film:


"lavaggio di denaro sporco"; 
(da notare la tonalità "artistica" del sangue, che paradossalmente io direi "Giallo-Argento")

la machiavellica pupa-del-ganster Violet, interpretata dalla Tilly seduce la ex-galeotta lesbica e occasionale vicina di casa (Gershon), in una scena definita -giustamente- steaming (fumante) dagli Americani


coinvolgendola poi nel furto dei 2 milioni e rotti premurosamente lavati e stirati -uno per uno dal suo uomo; ovviamente nulla va per il verso giusto, ma nessuno dei protagonisti scopre di vivere in una realtà olografica controllata dall'Architetto, pertanto la farsa continua imperterrita fino alla fine, come in vero film noir

con un intermezzo exploitation nel bagno

la cui caratteristica precipua è appunto il ruolo della "terza incomoda" nel triangolo, o meglio il suo incastro nella coppia


che provoca una serie di conseguenze meta-sessuali, e inevitabilmente fatali

per qualcuno;

il significato dello Happy Ending è relativo alle simpatie dello spettatore; 
Bound è un film stranamente misurato, che non offre alcun indizio dell'imminente "rivoluzione cinematica"  rappresentata dal film successivo dei Wachowsky, e ci ricorda invece i noir classici di un' epoca ancor più remota, in un racconto serrato e claustrofobico -ambientato in tre o quattro interni- che per questo finisce per risultare paradossalmente teatrale; ma questo a ben vedere si può dire anche della maggior parte delle nostre vite... Dobbiamo ringraziare i Wachowsky per avere inserito il fattore L -come Lesbo- nel genere noir? Dobbiamo menzionare il famoso bacio premonitore fra altre due kosher girls in Black Widow di Bob Rafelson, visto nel 1987 (!)? Per quanto mi riguarda, mi contento di non avere del tutto buttati i 108' di questa visione, perché guardando Bound mi sono infine reso conto perfettamente che il 1996 appartiene ad un'altra Era Geologica. Cinematograficamente parlando, un'era Pre-Matrix.