lunedì 2 dicembre 2013

(Cont.)

Il blogger che da qualche anno a questa parte risulta registrato con l'ID "diopicodellamirandola" su Google Plus (un ottimo strumento di controllo dei dati su internet, ma solo per le agenzie preposte a tale attività, per l'utente è solo una scocciatura "in plus")  non potrà che denigrare l'ideale divino, al punto da identificarsi con una bislacca bestemmia; in realtà non era mia intenzione assumere questa identità, né tanto meno ne vado f\ero, ma la accetto serenamente, in seguito agli eventi che hanno menato alla sua creazione;
non ricordo la registrazione su quale particolare sito richiedesse un ID Google Plus, per cui fui costretto a sottopormi (to submit) alla straziante ricerca di un nome; la cosa certa è che nella frenesia del momento (era una pausa pranzo, ricordo) la mia pazienza si esaurì abbastanza rapidamente, dopo aver tentato tutti i nomi e i nomignoli che avrebbero potuto anche vagamente soddisfarmi, e subentrò l'odio spietato per questo genere di sottomissione della propria identità, così che in luogo di nomi simili a quelli che ho sempre usati su internet iniziai a elencare una serie di bestemmie; il mio unico scopo era di ottenere un ID senza alcun numero, mentre le centinaia tentate finora erano "busy", e veniva quindi proposto lo stesso nome seguito da una cifra;
incredibilmente, TUTTE le bestemmie per così dire "tradizionali" erano già state assunte come ID da altrettanti users italiani tremendamente innervositi da quella procedura; tentati allora quelle meno "tradizionali", ma arrivato ben oltre la soglia del ridicolo mi resi conto che non c'era via d'uscita; infine, dal momento che anche il nome più risibile che mi capitò in mente, "picodellamirandola" apparteneva già ad un utente che molto probabilmente non era Pico Della Mirandola, aggiunsi il "dio" iniziale, ottenendo così per tempo il mio tremendo user ID su Google Plus; bisogna ammettere che rispetto alle tante, evidentemente popolari bestemmie contro un "dio", questa è senz'altro la più originale e tutto sommato molto meno offensiva di ogni altra, se non appunto per il Sig. Della Mirandola, la cui saggezza è ormai tale che non posso dubitare del suo perdono;

oggi mi apprestavo a postare l'ennesimo post sul mio blog a titolo Fractalife, che è dedicato quasi completamente alle mie "recensioni" cinematografiche (pirate), ma ho ritrovato sul desktop i files immagine del documentario di cui ho scritto l'altro giorno:



in cui l'autore del libro omonimo, uno "studioso biblico" autodidatta (come lo era il "sumerologo" Sitchin) rivela le preoccupanti "coincidenze" lettararie che a suo parere identificano i Flaviani come autori  -o perlomeno, supervisori diretti- dei testi divenuti noti come "Vangeli" e quindi del loro protagonista, il verbo umano, o Jesucristo; in risposta alle critiche più ovvie, tra cui quelle di Mr. Eberhard qui, anche un anti-religioso estremo come l'utente diopicodellamirandola, la cui istruzione in materia di idoli e scritture antiche è già fin troppo ingombrante malgrado la sua immensa ignoranza, non può che convenire nel riconoscere la parzialità dei risultati ottenuti con un metodo di indagine filologica "a spanne "che non soltanto è l'unico possibile nel caso di una icona protetta dal copyright maximus, ma è anche la più degna di tale indagine, dal momento che una volta riconosciute tutte le caratteristiche primordiali del "personaggio solare" del cristo giudeo, e sapendo che esse appartennero nel corso dei millenni a svariati "personaggi solari" -o "dei"- molto più antichi dei giu/dei stessi, ogni questione secondaria riguardante la possibile realtà, storica di uno o più personaggi simili, fisicamente esistiti quando la crocefissione andava di moda nell'Imperium, non dovrebbe poi avere tutta l'importanza che sembra spingere l'autore a riconoscere delle "prove" (quasi esclusivamente) nei testi di "Josephus" e della Gens Flavia, anche laddove evidente è soltanto l'elemento archetipico, la fonte che alimenta il corso delle idee tutte restando inaccessibile in sé, e la stessa infine che alimentò ogni mito del passato compresi quelli dei precedenti "messia risorti", da Osiride e Tammuz a Mithra agli "avatara" hindu e buddisti (forse passabili per morti-e-rinati da chi non ri-conosce il concetto di "re/incarnazione"...)
Da quanto mi pare di ricordare, i testi di "Flavio Giuseppe" o Josephus (יוסף בן מתתיהו) e di "Filone d'Alessandria" (Φίλων) sono indefinitamente più interessanti della sbobba americanizzata, liofilizzata e sintetica che cerca di propinarci Atwill, in quello che onestamente non si dovrebbe definire un documentario, ma un lungo commercial del suo libro, il quale ci lascia con i medesimi enigmi di fondo riguardo la validità dell'opera letteraria, ma in compenso riesce già a screditarla quanto basta per non doverli rivelare ad ogni costo, attraverso la consultazione dell'opera stessa. Anzi.

Roma resta sempre in quel punto, che malgrado tutto è (da) sempre il "centro del mondo" ;
del mondo-di-parole;


e arrivato a questo punto, non ritengo necessario il mantenere due distinti blog per delimitare i miei pochi interessi nel mondo virtuale, tanto più che nel precedente le mie cronache cinematografiche sono spesso mescolate a materie più personali, o quantomeno estranee al cinema; quindi la mia prima vera e propria "recensione" (con delle vere e proprie virgolette) riguarda paradossalmente un film alquanto "leggero", per non dire spudoratamente commerciale come è


Riddick di D. Twohy (2013)

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un altro di quei film che risollevano un interrogativo ormai  piuttosto stagionato per me, riguardo la necessità di recensire dei prodotti audiovisivi su un blog e, prima ancora, di consumarli. Non che questo Riddick in particolare, più o meno di ogni altro titolo della serie, o del genere, sia tanto infame da farci pentire di averlo visto, e anzi il taciturno quanto robusto eroe impersonato dal non-troppo-carino Vim Diesel si è assicurato la mia simpatia fin dal secondo (il primo, per me) episodio, e qui si ripropone con tutta la solita carica di "outsider rabbioso" - anzi, Furiano, che come tutti gli abitanti del pianeta Furya parla inglese


(così come qualunque abitante dell'universo conosciuto sulle sue tracce)


per un'altra avventura a cuor leggero su un pianeta alieno, tra tentacolari mostri venefici


da affrontare con astuzia sottile e bicipiti d'acciaio, feroci canidi computerizzati 


-ergo, addomesticabili-

e i soliti umanoidi disumani e assetati di denaro;

data l'ambientazione "selvaggia" e la medesima situazione di prigionia e assedio questo terzo episodio mi ricorda il primo (di cui peraltro ricordo ben poco) mentre non ho ritrovato niente delle elaborazioni estetiche e delle sofisticazioni narrative, insomma tutte le gingillerie del secondo (il primo, per me) che erano la cosa più stuzzicante del serial; la lotta per la sopravvivenza, e la fantasia degli autori nell'escogitare nuove mostruosità extraterrestri e nuove abilità super-umane (ovviamente, molto fisiche) per il protagonista solo-contro-tutti non sono quel tipo di distrazione da cui la mia mente di blogger si sente particolarmente attratta.
Di buono ci sono gli scenari esotici


e la medesima, moderata simpatia per questo singolare personaggio grezzo, taciturno e apparentemente un po' goffo, che è quello di Mark "Vin Diesel" Sinclair, una sorta di "negro bianco" che dopo la scomparsa di Michael Jackson è l'ultimo rappresentante noto di questa imprevedibile specie. L'unico attore in grado di lussarsi inutilmente (quanto volontariamente) una spalla per girare una scena che nessuno ha mai vista... Ma questa volta, purtroppo, non lo fa. 

L'altra "prima visione" di ieri 


Prisoners di D. Villeneuve (2013)

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è memorabile per la gravità della carica atmosferica sul set, estremamente familiare e nel contempo ripugnante, della mediocrità definitiva e incrollabile che è tipica di ogni periferia del mondo; se può disturbare l'estrema decadenza di certi ghetti (che ricorrono nei romanzi criminali Inglesi) e anche il lusso può risultare sconveniente associato al crimine, la mediocrità qui impersonata da Conyers, GA, è quella in cui immagino graviti la stragrande maggioranza degli utenti Occidentali, ed è alquanto raro vederla dipinta con tale intensità; il regista è un Canadese, già autore dell'originale-quanto-macabro Maelström (2000), in cui il narratore era un pesce affettato vivo; qui non si spinge molto oltre le solite cronache di psicopatia casalinga e giustizia privata su cui tanti autori americani sembrano seriamente intenzionati a erudire il pubblico internazionale da sempre ma, appunto, americano non lo è; e in qualche modo, in ogni modo, questo si sente malgrado la americanità dei volti protagonisti, Hugh Jackman nel ruolo del padre di famiglia disperato e Jake Gyllenhaal as l'unico detective della polizia americana onesto, capace e determinato (infatti si chiama Loki, come il fratello cattivo di Thor);


dunque malgrado l'americanismo a tutto schermo, il tocco non-americano è palese e la sua gravità quasi-europea rende stranamente interessanti anche le vicende che si svolgono attorno al rapimento di due pargolette e del loro sospetto rapitore e anche la strana mania labirintica del sospetto-a-sorpresa


David Dastmalchian, l'uomo più sospetto mai apparso sugli schermi

e le sue grandi scatole sospette...


Non dimentichiamo che si parla pur sempre di una "America" colle virgolette, già re-inventata interamente dall'industria del cinema, dalle grandi majors di Selznick, Goldwyn, Fox, e i Warner Bros., agli inizi del secolo scorso; non dimentichiamo che il nome dello sceneggiatore qui è Guzikowski... Questo "entimema europeo" del cinema "americano" è un fattore che invito il lettore a tenere presente sempre e in ogni singolo caso, quando si tratta di cinema, e dal momento che il blogger sembra essere tra i pochi -in assoluto- a considerarlo puntualmente nelle sue "revisioni", il fatto che qui abbia avvertita molto distintamente la "mano straniera" (di uno che peraltro abita sopra gli USA) è un segnale alquanto positivo; del resto, che abbia subito menzionata la importanza atmosferica dell'opera, dimentico di tutti i clichés narrativi utilizzati a partire dal soggetto stesso (il rapimento), dimostra la bontà dell'opera in senso cinematografico; che è poi il senso ricercato dal blogger cinefilo; 


per quanto riguarda invece il buon senso, nell'epoca dei CSI, dei Cold Case, e di ogni altro informative murder porn (preso inevitabilmente di mira dal duo Parker-Stone) trasmesso anche dalle TV italiane, la musica non cambia; tutte le grandi potenzialità della "arte cinematografica" sono ancora una volta ridotte alle note, mediocri capacità del medium televisivo, di impressionare abitualmente il pubblico con un genere di macelleria apparentemente meno esplicita di quella "spettacolare" dello splatter movie, ma che infine rappresenta gli esiti -sempre più anatomicamente dettagliati anche in TV- dei medesimi atti di violenza, il fatto compiuto rispetto al suo compimento; un horror statico, insomma;


in questo caso non sentivo alcun bisogno di conoscere le tristi fantasie di un Mr. Guzikowski su di un triplice rapimento dalle infinite conseguenze legali, emozionali e umanistiche, e non considero certo quella di Mr. Villeneuve una opera d'arte ma, al di là della bravura del cast, del DoP Roger Deakins (DoP prediletto dei Coen) e del compositore Jóhann Jóhannsson, la densità drammatica dell'insieme supera di gran lunga tutti i titoli recenti di questo nuovo sotto-genere, che definirei "post-realismo televisivo", e in linea con l'esordio strabiliante di Maelström potrebbe proiettare Villeneuve verso vette finanche più alte del Québec.

Non soltanto con questo post ho radunato in un solo sito tutti i miei grandi interessi riguardo le armi di distrazione di massa, ma grazie al poco documentato documentario su Atwill ho inclusa pure la immortale questione che riguarda il predominio Ashkenazita nelle questioni politiche globali come in quelle "frivole" -ma non meno importanti nella vita quotidiana dell'utente- e il monopolio dell'immaginario collettivo Occidentale per opera degli ebrei così detti, dalla religione all'intrattenimento, dai tempi dei famigerati terroristi genetici interplanetari chiamati anunnaki dai Sumeri e l'iniquo personaggio cristologico, divinizzati attraverso la "rilettura in chiave metafisica" che ne fecero autori ignoti, e dalla nascita di un Impero ecclesiastico fondato sui Misteri, fino all'era "dell'immagine", della TV, dei mass-media, e dello star-system di Hollywood, di proprietà esclusiva di sedicenti ebrei Europei; dalle ambigue deità "monoteistiche" descritte nei testi biblici, ai moderni "idoli" del cinema e della televisione, della musica, della letteratura della "scienza" e della "cultura"; di tutto. Nessuno dovrebbe mai chiedersi il perché di questa mia "antipatia" particolare per tanti individui di professione religiosa ebraica, e di fatto nessuno che conosca a fondo la questione in quanto tale lo farà mai; ma tutti al contrario dovrebbero preoccuparsi di conoscere il motivo per cui questo particolare argomento interessi tanto me, un tizio a cui potrebbe non importare tanto della deflagrazione planetaria quanto della dipartita di un singolo esapode, e che non odia nessuno al mondo, ma vedrebbe volentieri la faccia della Terra ripulita dalla feccia umana. In questi termini si pone per me anche la questione ebraica, che sembra non riguardare mai nessuno in particolare ma, purtroppo per noi, ci riguarda tutti, e lo dimostra il fatto che la sola consapevolezza di questa questione ha sempre portato alle inevitabili conseguenze di cui leggiamo sui libri di storia. Che non è una "storia vera", ma del resto quella la conoscono in pochi, e nemmeno se ce la raccontassero tutta potremmo mai considerarlo un Gesto Gentile. Questo è uno dei motivo per cui la questione va affrontata da tutti noi, senza le gentilezze a cui siamo stati abituati, o ammaestrati.

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