lunedì 31 marzo 2014

Omicidiale

Murder! di A. Hitchock (1930)
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è un capolavoro misconosciuto del Maestro, che consiglio caldamente ad ogni amante del Cinema colla C maiuscola;


dai dialoghi del film durante il processo scopriamo che "the crime of murder, in England at least, is judged dispassionately; neither beauty, nor youth, nor provocation" [...] "can be held to mitigate the crime of murder.", ovvero il crimine dell'omicidio, almeno in Inghilterra, è giudicato spassionatamente; né la bellezza, né la gioventù, né la provocazione ...possono mitigare il crimine di omicidio; il che mi sembra il minimo indispensabile per assicurare qualcosa di simile ad una giustizia in un tribunale, ma come ben sappiamo nel bel Paese lo "sconto" delle pene inflitte per un "delitto d'onore" è rimasto in voga fino al 1981 (!!!); Murder! però non tratta di un delitto "d'onore", ma piuttosto di un crimine passionale, con un twist razzista che è sempre di moda, e contiene elementi di estrema originalità già spiccatamente hitchcockiani, oltre i "tocchi" di humor -a tratti irresistibili- in una vicenda inevitabilmente funesta; in primis, la vittima dell'omicidio è una donna, e le accuse ricadono su un' altra donna (!)


-Norah Baring as Diana Baring-

l'omicidio è stato commesso con la più "classica" (quanto improbabile) arma del delitto, l'attizzatoio (poker) del caminetto;


dopo un conciso, quanto profondo e trascinante discorso sulla grave responsabilità dei giurati, dai quali dipende la vita dell'accusata, e sulla ingiustizia di leggi che egli definisce "barbare", Mr. Sheckleton 


pronunzia il suo verdetto: "Guilty, I suppose." (Colpevole, presumo); 
i "ragionamenti teatrali" che fa Sir John appena sbarbato allo specchio, o monologo interiore, la "voce mentale" dell'attore fuori scena e le sue espressioni drammatiche sullo schermo


con il sottofondo di Tristano e Isotta, oggi sono spassosi -83 anni dopo- e all'epoca erano assolutamente unici quando il loro effetto era, ovviamente, davvero drammatico; questa è, secondo IMDB, la prima scena di un film in cui i pensieri vengono recitati da una voce "off", e sempre su IMDB leggiamo che per questa scena si utilizzò un'orchestra di 30 elementi nascosti sul set, perché non era possibile doppiarla; mentre il monologo era "suonato" da un fonografo; due novità nella medesima sequenza, ovvero il monologo interiore al cinema, e il primo brano di musica classica come colonna sonora di un film (sonoro, mentre prima poteva anche essere improvvisata dal pianista di turno=);


il giurato n.12, il famoso attore teatrale -interpretato dal (quasi) famoso attore teatrale e mutilato di guerra Herbert (Brough Falcon) Marshall as Sir John Menier, si trasforma in detective per risolvere il caso della donna che -a malincuore- ha condannata alla pena capitale per omicidio (!); questa è l'anima stessa della detective story; la recitazione "calcata" del protagonista è perfettamente giustificata dalla sua professione, ma non di meno questa concessione rende la sua presenza "altamente drammatica" in scena particolarmente divertente; ed estremamente cinematografica;

Le popolane bisbetiche della giuria sembrano prototipi dei personaggi en travesti dei Monty Python
il neo-detective, poi improvvisatosi agente teatrale al servizio della legge -o meglio, della giustizia- rincara la dose costringendo il sospetto (molto sospetto)


trapezista/travestista Handel Fane (Esme Percy)

a recitare la scena del delitto, lasciando vuota la pagina del copione con la rivelazione fatale


che viene rimandata al finale con sorpresa, e una uscita di scena spettacolare e sorprendente, in puro stile Hitch

Audacissima inquadratura dark "à la Freddie Francis" di Jack E. Cox
 (ma qualcosa mi dice che potrebbe essere il contrario=) 
simbolismo espressionistico: le voci sull'andamento delle indagini post-processuali sono rappresentate sullo schermo con un segnavento


 mentre su un muro si innalza minacciosa l'ombra del capestro


La battuta memorabile è quella di Sir John: "The law has no sense of drama, has it?" (La legge non ha alcun senso del dramma, vero?)

un altro capolavoro del Maestro tutt'ora sottovalutato anche dai cinefili su internet, non l'ho trovato spesso nelle classifiche; anche in questo caso "preistorico", il genere stesso del film è il pretesto più valido e funzionale per un film "giallo" classico (un "whodunit", che Hitch evitava volentieri) ma che è nel contempo un'analisi sociologica, una satira di costume e del sistema giudiziario, un thriller psicologico, una commedia filosofica, insomma una vera e propria sintesi esistenziale; la pagina di Wiki Italia dedicata al film (un raro caso di traduzione letterale del titolo, Omicidio!) è stranamente ricca, e ci rivela alcuni dettagli interessanti sulla lavorazione, tra cui il fatto che venne girata una versione in tedesco per il mercato europeo; forse era previsto che parlassimo tutti in Tedesco entro breve tempo...


Dalle luci della ribalta all'ombra della gattabuia;

scopriamo qui che Hitchock -con la complicità di Cox- aveva già tentato di inscatolare una intera cella di prigione in una sola inquadratura, come avrebbe fatto poi -con un grandangolo e una mini-cella, in The Wrong Man (1956)




La scena più surreale è l'entrata nello studio di Sir John, i cui tappeti sono talmente morbidi


che sembrano materassi!

Il protagonista Sir John sarebbe ispirato a questo signore, attore teatrale amico di Hitchcock, Gerald Du Maurier; notate l'espressione del suo piccolo amico:


!
Il verdetto finale: magistrale.

Il solito P.S. hitchcockiano:


e due sfondamenti della quarta parete, sempre intriganti



martedì 25 marzo 2014

Và dove ti porta la porta

Mads Mikkelsen non solo è un bravo attore, e non è Americano, ma da quanto ho capito può permettersi di scegliere quali film interpretare, e raramente ha sbagliato le sue scelte; l'ho sentito parlare in Danese, in Inglese e in Francese, e questa sera lo sento per la prima volta parlare in Tedesco (con la voce di Ingo Hülsmann) nel ruolo di David Andernach, protagonista di


Die Tür di A. Saul (2009)
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un thriller cronologico che affianco virtualmente ad altri puzzles filmici come Memento, Los Cronocrimenes e il memorabile Triangle; un titolo interessante, in un sotto-genere affascinante;


una vicenda tragica, l'annegamento della figlia durante la sua scappatella con la vicina di casa, è solo l'inizio di una serie di eventi imprevedibili che portano (appunto) David nell' universo parallelo oltre La Porta del titolo, in una provincia universale resa con l'assenza di etichette in scena;
il distratto Mads è sempre straordinario nell'impersonare la disperazione


che qui travalica i confini dello "uni-verso" filmico, o micro-cosmico, e la quantità di colpi di scena offerti dalla visione -- tanti, e non bassi

con il piccolo, ma prezioso aiuto della piccola Valeria Eisenbart
si assomma al valore inestimabile del quid meta-filmico che interessa ogni utente mnemonico, e quindi ogni essere umano (terricolo); assieme al dilemma etico che vediamo rappresentato nella simbologia dell' "altro mondo" reso facilmente accessibile dalla fantasia -e che rimanda ancora all'idea della "felicità costituzionale" di cui godono (virtualmente) gli Americani- il film è un invito all'esplorazione delle possibilità (ognuna, e tutte) che possiamo e dobbiamo offrirci durante la nostra esistenza, possibilmente in un contesto meno drammatico di quello esperito nel film;

ψυχή in persona; nel film viene simbolicamente resuscitata dal protagonista
il film di Saul è un buon thriller cronologico, ma per i suggerimenti "filosofici" che introducono il flusso pensatorio dopo i titoli di coda dobbiamo ringraziare probabilmente il Turco Akif Pirinçci, autore del romanzo Die Damalstür (2001), a cui il film è "liberamente ispirato"; quanto invece dobbiamo allo sceneggiatore Jan Berger, non lo sapremo mai se non leggendo il romanzo prima di rivedere il film, come dovrebbe fare ogni serio critico cinematografico. Cosa che io non sono.

il "wormhole" filmico
Film da consigliare a chi ama il thriller cronologico, il giallo filosofico, il mistero insolvibile, e anche agli amanti del cinema in generale. Non mi risulta però che sia stato distribuito nel Belpaese. Finora.

Uno dei rari film in cui compare il Protagonista assoluto, la Primadonna di questo Mondo:


il pulviscolo atmosferico -- ma solo in questa scena, come per incanto

lunedì 24 marzo 2014

Mid-Earth-lantic

Ho aspettato un pezzo prima di vedere


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scoraggiato dal commento di un amico che lo aveva definito "noioso"; al contrario;


il secondo capitolo della mini-saga tratta dal romanzo The Hobbit di Tolkien è decisamente più in linea con i precedenti film della serie The Lord of The Rings, e una volta ri-superato l'impatto con la materia digitalizzata offre due ore di grande spettacolo, una pletora di sfondi incantati, onirici e sinistri






scenari di corse a perdifiato, battaglie mozzafiato, e persino Stephen Fry

col fiatone;

l'altra novità nel cast è la comparsa di Evangeline Lilly, nei panni dell' elfa superflua (o silvestre)

Tauriel

per il blogger essa rappresenta il ricordo dell'ultima serie TV (live action) mai vista, Lost (2004) e soprattutto quello dell'ultimo naso femminile di cui mi sia invaghito; malgrado tutto, devo ammettere che Miss Monkey ha ancora un gran bel paio di narici... Nasi così ormai li fanno solo in Canada.

Ma il protagonista assoluto qui è il desolato quanto fiammeggiante personaggio del titolo, il vasto drago Smaug, che vive sepolto nel suo sconfinato tesoro sotterraneo;


una delle poche creature interamente digitali davvero ben riuscite, fra le tante proposte dal cinema negli ultimi anni, incredibilmente vivo e realistico, e che pure paradossalmente mi ha ricordate certe creazioni della Disney; su IMDB scopriamo che "è necessaria una settimana-processore per renderizzare una squama del corpo di Smaug. In altre parole, se si fosse utilizzato un computer con un singolo processsore, ogni squama avrebbe richiesta una settimana per essere completata. Fortunatamente, la Weta Digital ha utilizzata una serie di server multi-processori..." -- Il risultato è decisamente rimarchevole:


Ma mi chiedo quanto ci sarà voluto per renderizzare tutte quelle monetine che rotolano attorno a lui...


?

Il titolo del blogger anglofilo è riferito a questo tuffo linguistico nel magico regno del fantasy, più prossimo alla realtà del nostro passato, quel regno incantato (la Nuova Zelanda) in cui tutti parlano una sorta di mid-atlantic. Ormai, anche nel cinema il suo uso è limitato perlopiù alle fiabe.

domenica 23 marzo 2014

Il ribello

E' una triste storia, quella di Hans Kohlkhase, che fu spezzato sulla ruota nel 1540, e le cui gesta furono narrate da Heinrich Von Kleist nei primi dell'800 nel suo libro Michael Kohlhaas; da quest'opera fu tratto un film di Max Haufler nel '37, di Volker Schlöndorff (- der Rebell, o Man on Horseback) nel 1969 e una versione western TV  "liberamente ispirata" del 1999, The Jack Bull di John Badham; 
ora è il turno di questo


Michael Kohlhaas di A. De Pallières (2013)
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dove il ricco mercante di cavalli e titolo dell'opera è impersonato efficacemente dal taciturno, bello ma obliquo (o corsivo) Mads Mikkelsen


in un ruolo da "sovversivo" paragonabile a quello di En kongelig affære (2012) dove è ancora lo scontro con l'autorità rappresentata da una aristocrazia incline alla labilità a segnare il suo destino, qui in cerca di giustizia per un affronto subito a cagione della sua intestimabile merce vivente, della nobile razza Equina;



i saggi Houyhnhnms sono di nuovo tra i protagonisti, compreso un lieto evento molto realistico



di nuovo un senso di inevitabilità pervade le vicende del personaggio mikkelseniano, durante la sua guerra lampo contro la Sassonia; ma sopra tutto regna la natura della Linguadoca, che nella gran parte delle scene è presente in forma di vento, canti di uccelli, ronzii di insetti... e soprattutto, nitriti


E con il vecchio Bruno Ganz, 


intitolato a somministrare la giustizia al popolo, con ogni sua conseguenza.
Timbro solenne, ma non troppo. O non abbastanza.

Kidz with (planet-size) gunz

"The most exciting thing we could do, that's what all is everything about is really enjoing and getting genuinely excited about the possibilities -not necessarily achieving anything of our ambitions but just going into it with a sense of sort of wonder again, you know." - Damon Albarn


Bananaz di C. Levy (2008)
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Non c'è molto altro da dire a proposito; queste sono le parole di un "re del brit-pop" che a un certo punto della sua carriera sembra essersi accorto di poter fare musica (molto, indefinitamente) più interessante di quella prodotta "per lavoro" nel suo tempo libero, con il suo I-phone, a partire da quando raccolse le proprie registrazioni fatte durante un tour con la band, i Blur; 


il disco (Democrazy, 2003) non è proprio un granché, e io personalmente lo ascolterei un'altra volta solo per quella canzone da cui venne l'ispirazione per "Clint Eastwood" (tutto sommato, immagino di averla già riconosciuta al momento dell'ascolto) -- ma in esso giace il seme del cambiamento, che si materializzò poi attraverso l'incontro con il fumettista Jamie Hewlett e la nascita della band portata sugli schermi in forma di animazioni, interprete virtuale di sei albums straordinari, letteralmente incomparabili;



Qui scopriamo tra l'altro che i due hanno vissuto assieme per qualche tempo, e che tutti i pantaloni prestati da Hewlett al coinquilino poi sparivano nel nulla, malgrado la sua interessante ipotesi per cui avrebbe potuto lavarli e indossarli ancora;

Osservate i segni della violenza del mondo sul volto di Albarn, che qui appare tumefatto ed escoriato
e poi addirittura sdentato... memori della sua laurea honoris causa, alla cui cerimonia partecipò con una benda sull'occhio, ci chiediamo quali siano i suoi passatempi non-musicali... Ma non vogliamo una risposta
per chiunque conosca e possa apprezzare la musica dei Gorillaz, questo è un documento unico e insostituibile per conoscere qualche retroscena del fenomeno multimediale, con delle "chicche" inedite (anzi, pre-edite) dagli studio di registrazione, qualche intermezzo da road movie con i protagonisti, e qualche episodio decisamente goliardico che ci ricorda la natura "demoniaca" delle creature di Damon & Jamie;


mi pare di averlo già scritto in qualche post, ma non mi stancherò mai di ripeterlo: "questo mondo andrebbe molto meglio se tutti i suoi abitanti ascoltassero i Gorillaz"; purtroppo, lo so bene, specialmente dalle nostre parti i Gorillaz non solo sono poco ascoltati, ma circa tre anni dopo il loro scioglimento sono più o meno ignoti ai più, al di là dei vari "singoli" passati in TV e in radio, che come sempre rappresentano la parte "commerciale" del gruppo, e sono tanto irresistibili quanto (molto relativamente) banali rispetto all'insieme dell' opera; 


io certo non avrei mai comprato un disco come "Plastic Beach" per aver sentito "Stylo" (nel cui video appare Bruce Willis) o "Some kind of nature" (guest vocal il vecchio Lou Reed) alla radio, anche perché non avrei mai immaginato che potesse contenere canzoni come "Cloud of unknowing" o "To binge", e lo stesso si può dire di tutti gli altri dischi; definire questa musica "pop" non è semplicemente restrittivo, ma è più o meno il contrario della realtà dal momento che la musica davvero pop-olare oggi nel mondo è agli antipodi di questa; sicuramente il mondo della musica andrebbe molto meglio, se tutti i musicisti in erba avessero ascoltati i dischi dei Gorillaz almeno una volta;


al mio lettore consiglio di sfruttare Youtube per una generosa "anteprima", tralasciando ciò che è famoso per trasferirsi completamente nella dimensione Gorillaz che, parafrasando i versi di Albarn, riporta l'ascoltatore "indietro al cuore delle cose"(Back /To the heart of things)...
Ovviamente, un documento simile non poteva che essere firmato da un eletto di dio.


Ender's Game di G. Hood (2013)
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è un film tratto da un libro tratto da un racconto, da cui fu già tratta a suo tempo una serie a fumetti;
non conoscendo le suddette opere, mi posso solo chiedere il motivo di tanto successo, tale da portare alla realizzazione di questo film, che per il momento è noto soprattutto come uno dei più grandi fiaschi della scorsa stagione

questa espressione di Harrison Ford descrive l'esperienza cinematografica
Non c'è un solo aspetto del film di Hood che abbia colpito il blogger cinefilo, al di là della affinità con il più famoso Starship Troopers, e il fatto che qui i nemici insettoidi (invisibili per rtutta la durata) si chiamino "formics" (SIC)


è un indizio da non sottovalutare; 


Ender's game è qualcosa fra Tron: Legacy e The Black Hole in versione videogame, ma senza robottini simpatici. Un vero, colossale disappunto. Lettura consigliata ai marines, visione sconsigliata anche a loro.

Il titolo del post -riferito all'arma anti-planetaria del film- deriva dalla canzone dei Gorillaz: