sabato 10 maggio 2014

Il coraggio di John


The Red Badge of Courage di J. Houston (1951)
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è un film paragonabile soltanto a titoli più recenti, a partire da Paths of Glory di Kubrick (1957), a sua volta precursore di film veristi e crudisti a sfondo bellico come Cross of Iron di Peckinpah (1977) Idi I Smotri di Klimov (1985), e Platoon di Stone (1986), per citare i piu famosi, fino ai recenti successi spielbergiani di Schindler's list (1993) e Saving Private Ryan (1998); ma come ben sappiamo, tutti gli orrori della guerra fino agli anni '70 non erano poi così orribili come il giovane inesperto -ma amante degli effetti speciali- blogger poteva aspettarsi... 
Nondimeno, tutto è dannatamente duro (goddamn hard) in The Red Badge of Courage, metaforico titolo del best seller di Stephen Crane del 1894, dove la "medaglia rossa del coraggio" si riferisce ovviamente ad un buco di proiettile, l'unico riconoscimento che sancisca ufficialmente l'eroicità di un atto, e di chi lo compie; in cerca di questa alta onoreficenza qui è il protagonista "The Youth", Henry Fleming 

(Audie Murphy)

dapprima codardo e svenevole, sempre sull'orlo della diserzione, e poi sfacciatamente coraggioso, in cerca di riscatto per le proprie paure ormai vinte; 


(e colla bandanna in testa=)

non è un tema nuovo in questo genere di narrazione, e non lo è per il moderno lettore che conosce i titoli vintage di cui sopra, così come non lo è per il lettore del Baghavad Gita (II-IV Sec. a.C.?) dove i timori e i sentimenti umanitari del Principe Arjuna alla vigilia della battaglia assurgono la narrazione a più alti livelli e più vasti orizzonti; 



non di meno, il film di Huston è originale almeno per la scelta  del particolare conflitto bellico, dal momento che malgrado tutto egli non fu coevo di Crane, mentre aveva ottenuto il grado di Capitano durante la 2a Guerra Mondiale; con il decisivo aiuto del DoP Harold Rosson (Colui il Quale Fotografò OZ) Huston cattura l'essenza atmosferica del campo di battaglia, in un film molto documentario ma, fondamentalmente, non abbastanza; come abbiamo visto, un buon film di guerra moderno è il Rambo di Stallone, dove l'orrore ha la consistenza organica adeguata ai calibri e al potere devastante delle nuove macchine di morte;

Comparse, dirette alle mense degli Studios
e come abbiamo già ricordato, anche se la mutilazione era la terribile protagonista di The Best Years of Our Lifes (1946) gli effetti più o meno speciali della guerra sui corpi più o meno straziati dei suoi protagonisti compariranno sugli schermi in tutta la loro solo decenni più tardi; nel '51 ancora il cattivo che si beccava il proiettile copriva subito la ferita con la mano, per pudore, e in quel modo non c'era nemmeno bisogno di farlo sanguinare; lo stesso valeva per una intera guerra come quella Civile Americana (1861-1865) una delle più sanguinose, nonché fratricida, in cui persero la vita un milione di ragazzini, giovani e sani "americani" d'importazione Europea, mentre 400.000 rimasero feriti spesso in modo invalidante, essendo allora il seghetto la cura più efficace per le ossa spappolate; Wiki riferisce che 1su 13 veterani erano mutilati;

"Questo non l'avevo ponderato!" sembra dire il giovane ass-oldato


Tutto ciò non viene nemmeno menzionato nel film di Huston, rimane qualcosa di sottinteso per lo spettatore moderno, al quale non resta che apprezzare le belle immagini in bianconero di Rosson, e l'abilità coreografica con cui il regista mette in scena questa guerra-modello, poco romantica e tutto sommato anche poco filosofica -almeno, non in senso Americano- ma dannatamente convincente; credo che nel '51 non si fosse mai vista roba tanto autentica al cinema;









Il volto del vero patriota

Da notare gli effetti di controluce inusitati all'epoca, così come le angolazioni noir volute da Huston


Per quanto mi riguarda, in ultima analisi è piuttosto evidente che questo titolo sia di fatto un moncherino del progetto originale di Huston, del quale aveva perso completamente il controllo malgrado lo considerasse il suo miglior film, e che la produzione aveva ridotto da 2 ore a 70', intervenendo sul girato con la stessa cura dei cerusici Americani sui feriti durante la Guerra Civile.
E con la beffa, oltre il danno materiale, rappresentata dalla voce "off" del narratore, aggiunta (ovviamente) in postproduzione. Sicuramente il progetto originale sarebbe stato troppo per qualsiasi majors, era troppo per Hollywood stessa, come per il suo pubblico dell'epoca, che usciva dall'incubo della guerra mondiale; oggi il quasi-mockumentario di Huston sulla Guerra Civile è soprattutto un documentario su quel progetto -che giustamente Huston cosiderava il suo meglio- di cui tutti i possibili sviluppi cinematografici, così come le nostre macabre nozioni storico-anatomiche applicate, sono limitate solo dalla nostra immaginazione; interessante per il cinefilo, dovrebbe essere indispensabile per qualunque cineasta in erba.
Questo film dichiara in maniera inconfutabile che Huston nel 1951 era ancora troppo per il mondo; fu nominato all'Oscar, quello stesso anno, come regista e sceneggiatore, per The African Queen, ma alla fine vinse solo Bogart... That's Hollywood!

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