domenica 18 maggio 2014

Gioco xverso

Uno dei pregi indiscutibili di 


The Magus di G. Green (1968)
☻☻

sono gli intermezzi very-soft-jazz, in stile "elevator music", che accompagnano alcune sequenze; una colonna sonora da possedere;


per il resto, il continuo rivelarsi dello strano "gioco" messo in atto dal Dott. Conchis, di memorie più o meno reali che lo spettatore conosce solo attraverso la realtà filmica del flashback (un flashback non è più o meno reale di tutto il resto), dapprima di origine psico-terapeutica, poi più apertamente ludica, e infine addirittura cinematografica


 è uno dei più interessanti che mi abbiano coinvolto ultimamente (negli ultimi decenni) quando so ormai per certo che tutto ciò che percepisco, anche nella forma "virtuale" del film, è parte di un percorso formativo che ha certamente un inizio --più o meno obbligatorio-- ma non una fine certa;


il film di Green partecipa di questo gioco con la sua dichiarata natura ludica, in quanto forma d'arte e/o intrattenimento, mantenendo però le costanti del thriller psicologico, ovvero riflettendo la natura dello spettatore all'interno dei suoi limiti mentali: 


Qui Michael Caine, insegnante di Inglese, lascia la patria e la minaccia di una unione troppo seria con una hostess per trasferirsi a Phraxos, immaginaria isoletta Greca (interpretata da Spetses che gli Italiani per qualche motivo chiamano Velvina); qui incontra il misterioso Dottor Conchis -Anthony Quinn- che gli offre il miglior Darjeeling 


e lo fa prigioniero di un gioco del tutto privo di regole -quello dell'autore- in cui la ricerca della verità lo conduce attraverso vari strati di bugie passate presenti e future, complici le memorie dei due protagonisti, e una giovane e promettente Candice Bergen

(L'espressione più conveniente per un baciamano)
dapprima creduta un fantasma, poi una squilibrata, poi una attrice --la parte che accettiamo per buona;


le cose si fanno indefinitamente più confuse con l'evoluzione del gioco, fino alla fatidica battuta: "What is truth?" domanda del vecchio "Tiburon" Quinn al giovane (anche lui) e sconcertato Caine; è quello che vogliamo, o possiamo, oppure dobbiamo credere... 


Il che vale anche e soprattutto per questo film, sceneggiato con bravura dallo stesso autore del romanzo da cui fu tratto, e interpretato come s'è visto dallo impeccabile, a tratti esilarante (per questo) Michael Caine e dal sempre radiante, oserei dire ruspante Anthony Quinn, nel ruolo del titolo -- riferito alla carta dei tarocchi, a cui pure si riferisce quella dell'impiccato 


("the Hang Man" dice il Magus "He stands for selfishness" -- ovvero, significa "egoismo");
è una carta che abbiamo vista ultimamente giocata nel mondo delle star di Hollywood in The Imaginarium of Dr. Parnassus (2009) dove l'impiccato era una vittima predestinata (Heath Ledger) dal Club... 


qui Michael Caine rischia il collo, ma è solo una delle tante possibilità offerte da quest'opera intelligente, intrigante, elegante  e ben condotta, che non rischiando mai nulla sul piano formale e visuale -anzi, aggiungendo un tocco di muzak all'occorrenza- risulta infine ancora più affascinante nella sua completa giocosità, vintage e senza tempo;


vorrei quasi dire che un film simile meriterebbe un remake, ma viste come stanno le cose mi chiedo perché mai dovrebbe meritarsene uno, in fondo non ha fatto nulla di male... Anzi.


E' un vero piccolo gioiello più o meno ignoto da noi (la pagina di Wikipedia Italia è sintomatica) che posso trasferire su chiavetta per gli amici anglofoni, ma di questi ne ho uno soltanto; al lettore consiglio uno streaming, o un torrent, da che il flusso multimediale è ancora fortunatamente accessibile anche all'utenza terzomondista del Belpaese;

Premio Oscar 1968 per il Miglior Sorrisetto Nazista
il film fu naturalmente un fiasco totale alla sua prima uscita, tanto che l'autore del romanzo e sceneggiatore John Fowles si disse "estremamente contrariato", mentre Michael Caine lo giudicò tra i peggiori da lui interpretati assieme a Swarm (Lo sciame che uccide!) e Ashanti; ancora, Wikipedia conferma il trivia di IMDB a proposito di Woody Allen che, alla domanda cosa avrebbe fatto potendo cambiare qualcosa nella sua vita rispose che avrebbe fatto tutto esattamente allo stesso modo, tranne vedere The Magus.
Ma Woody, si sa, è un bergmaniano fallito

Non è altrettanto positivo il mio giudizio per


Robocop di J. Padilha (2014)
☻☻-

 che alla fine si risolve nel commento genuinamente deluso ad un trailer, che ho letto da qualche parte: "Era meglio l'originale". C'è altro da dire?


Tutte le implicazioni etiche sulla proprietà dell'essere umano, come di una macchina autosufficiente, e che nel film di Veroheven molto paesi-bassamente si risolveva in una ennesima crisi di pessimismo americanistico anni '80, qui sembrano tendere alla propaganda pro-drone, dove l'insistenza tele-visiva sul tema della "sicurezza globale" --che ci rimanda al Veroheven "satirico" di Starship Troopers-- riflette fin troppo nitidamente la situazione di allarmismo para-militare vissuta dall'utenza (balistica, soprattutto) statunitense, in un mondo in cui si utilizzano davvero delle macchine telecomandate per uccidere, e dove tutti vengono sempre ripresi da qualcuno ad ogni angolo di strada; 

quello mi ricorda qualcuno... o qualcosa...
il discorso uomo-macchina, della "realtà fisica" in cui si trova prigioniera l'anima dell'utente corporale, è sempre un discorso importante, e interessante oltre ogni dire, ma qui le implicazioni pro-droniche mi sono sembrate un po' troppo ovvie e preponderanti, così come la scelta di un regista "alieno" e quindi "neutrale", il Brasiliano Padilha (Tropa de Elite); del tutto guardabile, senza alcunché di notevole, e indefinitamente meno violento dell'originale, il che lo rende ancor più sospetto di propaganda tecnocratica;
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Tra le funzioni del nuovo modello troviamo la app "Predator vision"
manca soprattutto un vero protagonista --come lo fu Peter Weller, in una delle parti più sottovalutate dell'intero decennio-- e soprattutto un vero regista; invece CGI, fughe, inseguimenti e combattimenti dovrebbero bastare per tutti; alla fine, ci omaggiano anche dell'omaggio più atteso da grandi e piccini: 


robottino contro robottone!

l'effettismo speciale calcato e la ricercatezza visuale non possono compensare la mancanza di originalità del soggetto (è pur sempre un pallido remake) e tantomeno possono contrastare le smancerie industrial-militari di gusto patriottico, che potranno piacere anche a una metà degli Americani, e all'altra metà ispireranno pensieri di rivolta; io rimango a metà fra le parti, non essendo (orgogliosamente) Americano; e nemmeno Brasiliano;
con Gary Oldman


il dottore poco pazzo
Samuel L. Jackson

l'imbonitore televisivo

e Jackie Earle Haley

il badass;

e con Frank Sinatra

che canta!

Un film che è molto facile dimenticare, se non che abbiate salvati gli screenshots sul desktop per scriverci un post sul Vs. blog.

P.S.: "Gioco perverso" è il tit. della dist. It. del film The Magus

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