lunedì 19 maggio 2014

Robots e Cinegioco

Concordo con la sig.na Albarn, sul fatto che l'ultimo disco di papà sia "un po' lento, un po' noioso", come ha recentemente rivelato l'Autore in una intervista televisiva -- questa:


ma come lei, mi ci sto abituando;
per il blogger è inevitabile il rimando al "cambio di marea" (Sea Change) di Beck anche perché lui, assieme ai Gorillaz, sono stati + o meno l'unica alternativa musicale alla mia propria musica (virtuale) nell'ultimo decennio; anche nel caso di Sea Change, un album lento, dalle sonorità essenziali (e dagli arrangiamenti barocchi) lo shock per gli ascoltatori abituali del "vecchio", scalmanato, multi-strumentale, sperimentale e divertente Beck, era stato grave, in qualche caso fatale -- nel senso che qualcuno poi aveva evitato di ascoltarlo;
Everyday Robots è quanto di più lontano dalla elettrizzante, spumeggiante bolgia melodica e multimediale dei Gorillaz; è un disco "intimo", dai toni pacati (con l'eccezione di Parakeet e Mr. Tembo) e  dove l'unica vera sorpresa è l'assenza di sorprese, del genere a cui eravamo stati ben abituati dalla "band virtuale" di Albarn & C.; sono canzonette precise, piuttosto classiche,  leggere all'ascolto ma densamente intrise di una malinconia puerile che ricorda inevitabilmente i sobborghi londinesi in cui l'Autore è cresciuto, e che hanno ispirate le varie composizioni di quest'opera; come quel panorama, il disco non è esattamente un giubileo, e ne riflette lo spirito essenzialmente triste, e di una mestizia squisitamente anglosassone con la quale anch'io sono cresciuto musicalmente, dai tempi di Joy Division, The Cure, The Banshees, Mass, The Smiths, e via darkeggiando;
l'esperienza Gorillaz si avverte soprattutto nell'uso di drum machine e percussioni "alternative", assieme a qualche discreta diavoleria elettronica mimetizzata nei morbidi tappeti sonori, e questa è anche l'unica sorta di legame con il passato della new wave Britannica; e di nuovo, come per "Sea Change" sarebbe riduttivo classificare il lavoro di Albarn con un'etichetta di genere, come "folk" o "pop"; il bello della cosa è che sono pure e semplici canzoni; una volta inquadrato il personaggio, lo scenario, e il contesto, l'esito è sicuramente apprezzabile a livello tecnico, melodico e storico -- l'ennesima "svolta" dell'ex-Blur, nella speranza sempre più viva di una "Phase 4" dei fenomenali Gorillaz;
io sono rimasto subito incantato dalla bellezza straziante di Hostiles, la seconda canzone in elenco;  e, come un vecchio giradischi, rimango incantato su quella traccia mentre il disco si ripete in loop durante le mie giornate;


per quanto mi riguarda, è bello risentire una voce che a me sembra quella di un 2D cresciuto, con quella inconfondibile S posticcia (dovuta al misterioso incidente odontoiatrico di Albarn), e con qualcosa di completamente diverso da suonare e cantare; anche se non mi fa battere il piede, è una presenza sempre piacevole nella mia vita.


The Lego Movie di P. Lord e C. Miller (2014)
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e


Pompeii di P.W.S. Anderson (2014)
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ricadono nella categoria dei films della domenica; non per il tono festivo, o festoso, ma perché sono entrambi prodotti per l'intrattenimento di massa, titoli che un serio guardatore di films non prenderebbe mai in considerazione di giovedì, e tantomeno di lunedì;


l'Australiano finto-infantile The Lego Movie insiste allegramente sulla linea comico-cinica post-yiddish inaugurata (e mantenuta a lungo) nel settore finto-infantile da The Simpsons (e degenerata nel toilet humor di South Park, altra specialità kosher), qui mantenuto entro i limiti della decenza per non giocarsi la più grossa fetta di pubblico, i veri Utenti Lego, che sono ancora oggi i bambini (!) ; è la solita impresa per salvare l'universo, che in questo caso ha la particolarità di essere chiuso in una soffitta;


il film è una riproduzione interamente digitale dell'universo Lego, deliberatamente e minuziosamente "falsata" per sembrare stop-motion animation, un effetto ottenuto anche con l'assenza di sfocature da movimento
questa è la prima volta di Morgan "Prezzemolo" Freeman in un film animato, e bisogna ammettere che la sua calda, profonda - ormai ESTREMAMENTE familiare, e meme ufficiale dal 2012:


per lo spettatore anglofono-- voce in un ruolo comico (as Vitruvius) è uno dei pregi maggiori del film; non so chi lo abbia doppiato nella ver.It., ma non mi interessa poi tanto, sicuramente non è un personaggio famoso nell'universo come Morgan Freeman;


la sceneggiatura attinge addirittura da Gli Uccelli di Aristofane e malgrado la prevedibilità di una storia con l'uomo comune (il costruttore Emmet) al quale capita di fronteggiare le forze del male, incarnate dal perfido Lord Business (Will Ferrell), evita se non altro tutta la stereotipia annessa, anche grazie alla infinità varietà di personaggi e ambienti offerti dalla industria Danese produttrice dei variopinti mattoncini, con cui tutti abbiamo costruita parte della nostra infanzia;


compaiono nel cast Batman, Han Solo, Chewbacca e l'originale Threepio doppiato da Anthony Daniels, i Teenage Mutant Ninja Turtles, e una carrettata di svariati personaggi che sono stati a suo tempo miniaturizzati e plastificati per la gioia di grandi e piccini;
per un amante della stop-motion animation, questo film è soprattutto un "fake"; ben riuscito, ma non per questo meno falso; e stranamente questa sua qualità potrebbe non essere del tutto negativa; 
divertente fino alla fine, ma non "da ridere";


Pompeii è una produzione Tedesco-Canadese firmata da tale Paul W.S. Anderson, il quale ha affermato: "Se lavori su un soggetto che ha dei fans sfegatati, allora ci sarà una discussione infinita su quello che hai fatto di giusto o di sbagliato. In un certo senso non c'è modo di accontentare i fans ossessivi, è del tutto impossibile."
Probabilmente lo disse a proposito di Resident Evil (2002) o Resident Evil Afterlife (2010), o forse di Alien Vs.Predator (2004), ma adesso ci chiediamo: chi non è un fan sfegatato di Pompeii?
Qui le vicende romantiche del robusto Milo


(l'atletico Kit Harrington, che vanta antenati illustri, e un fisico cinematografico senza trucchi), gladiatore professionista in cerca di vendetta di cui si invaghisce la figlia-di-papà Cassia (la poco Patrizia Emily Browning) insidiata dal perfido Senatore Romano Corvus (SIC -- Kiefer Sutherland) 


vanno di pari passo con i movimenti tellurici, prodromo della famosa eruzione; inevitabilmente, alla catastrofe come scioglimento del dramma (o "climax") corrisponde la catastrofe naturale, riprodotta con larghezza di mezzi digitali 


in alcune sequenze di spettacolare efficacia; o efficace spettacolarità, che in fondo è lo stesso;


non c'è altro da segnalare, oltre il fuoco, le fiamme e i crolli digitalmente riprodotti con estremo realismo, in questo connubio tra Spartacus e 2012, che fra gli strani accenti dei vari personaggi sul set (gli attori) l'accuratezza impossibile della ricostruzione storica, politica ed estetica dell'epoca


ricorda da vicino i classici "peplum" della vecchia Hollywood, solo un tantinello più "forte", e con tanti gigabytes in più; il vulcano che erutta c'è, manca solo il mais ibrido.

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