mercoledì 28 maggio 2014

Il Nome del Destino

Ho concluso che il film di oggi risale nelle mie memorie al Siluriano, quando in certe mattine estive guardavo i programmi di Mamma Rai iniziare così, in bianconero:


(non ricordo invece di averli mai visti finire)

e iniziava un vecchio film, di solito un classico hollywoodiano, inevitabilmente in bianconero, come

Beau Geste di W. A. Wellman (1939)
☻☻☻

Questa è stata la mia deduzione, dal momento che non ho memorie più recenti di questo film, se non quelle che si confondono con i sogni dell'infanzia, e che sono lampeggiate qua e là durante la visione; un' esperienza piacevole, una volta accettato il fatto che Beau Geste è innanzitutto "un film col Gary Cooper"


affiancato da Ray Milland


e Robert Preston


nel ruolo dei Geste Bros., trovatelli cresciuti sotto l'egida della magnanima Lady Brandon e coinvolti in uno strano, complicato caso di appropriazione indebita il cui oggetto è il magnifico zaffiro Blue Water


dal quale dipendono le sorti del casato;
un bel filmone solido, ben stagionato, forte di una continuità narrativa esemplare, e di una innocenza solare che avrebbe iniziato ad adombrarsi di lì a poco, con l'avvento del così detto noir e dei suoi personaggi ambigui; Beau Geste rappresenta "i bei tempi andati" della Hollywood ante-guerra, anche se inevitabilmente il soggetto (dal romanzo omonimo di P.C.Wren) è imperniato sulla falsità (più o meno riconoscibile) dei beni materiali e sulla odiosa realtà della guerra, l'originalità della storia che è sottintesa nel titolo stesso, assieme al mestiere del vulcanico Wellman, e l'indiscutibile professionalità di tutto il cast, ne fanno una visione piacevole ancora oggi, introdotta da questo proverbio arabo:  


(L'amore dell'uomo per una donna compare e scompare come la luna...
Ma l'amore del fratello per il fratello è inamovibile come le stelle, e permane come la parola del profeta)

con il supporto fotografico molto essenziale e funzionale di Theodor Sparkuhl e Archie Stout in un fulgido bianconero







e le musiche prorompenti di Alfred Newman (che detenne il record di 45 nominations agli Oscars)

Ma il motivo per cui ho cercato e trovato il FIL/E/M in questa copia .avi di qualità minima, è la presenza nel cast di Brian Donlevy, la cui ironica modernità (o moderna ironia, che è lo stesso) molto Irlandese, profusa in The Great McGinty lo rende protagonista di un ruolo pressoché unico nella storia del cinema; anche qui di fatto -- storicamente -- è lui la star, perché malgrado il ruolo centrale dei F.lli Geste nella trama, e la carica negativa del suo personaggio- l'infido Sergente Markoff- del cast fu lui l'unico ad essere nominato all'Oscar, e da questo fotogramma si può intuire perché;


il suo Markoff, stereotipo del Sergente come nemico tra le proprie file, è il ritratto vivente della perfidia, tratteggiato con una grinta al contrario positiva, quella dell'attore sotto il trucco di scena, che lo rende memorabile. 

(soprattutto per chi lo ha visto da bambino, ma non ricordava di averlo fatto)

Ma il vero motivo per cui ho voluto vedere questo film, infine, è questa scena:


al cui proposito leggiamo su IMDB

"Si crede che Ray Milland ferì accidentalmente Donlevy alla spalla durante le riprese di Beau Geste, quando mancò l'imbottitura protettiva con la sua baionetta. Questa leggenda è stata ripresa di recente da American Movie Classics (AMC) per la messa in onda del film. Nella realtà dei fatti, Ray lo pugnalò nella parte inferiore della gabbia toracica. La ferita era abbastanza profonda non solo da farlo sanguinare, ma da lasciargli una cicatrice che Donlevy portò per il resto della sua vita."

E io, vedendo il film dopo aver letto questa notizia, mi sono chiesto: fino a che punto la realtà può superare la fantasia?


"C'E' UN MEDICO SUL SET?"

Tranquilli, Brian è sopravvissuto fino al '972, ma tra gli attori il più famoso e recente caso di Brandon Lee (del 1993) non è l'unico nella lista nera di Wikipedia...

domenica 25 maggio 2014

Il mondo contro Monsanto

Sabato scorso, 23 maggio, data storica: un gabbiano (!) è volato sopra la mia testa in pieno centro città; 
ieri, passeggiando al sole, e ripensando al fatto che CAMMINARE (non correre, né marciare) è l'unica attività necessaria per l'uomo... Pensavo che guardare in alto è importante; ci si può aspettare di vedere i soliti aerei, i soliti elicotteri, gli insoliti ufo, le inesorabili scie chimiche, o magari qualche apparizione mariana, ma per certo è spesso possibile osservare quelle meraviglie senza fine che sono le "nuvole", e tutte le "creature del cielo", i miei amati concittadini alati, compresi gli l'occasionali turisti. 
Per il mio lettore distratto, devo ricordare che il mio "scherzoso" ID di blogger, Jack Daw (lo stesso che uso su Facebook) in Italiano sta per taccola; che al contrario non è un nome altrettanto melodico, nel migliore dei casi si può confondere con un ortaggio; non di meno, è impossibile creare un ID formato da nome e cognome utilizzando questo termine ambiguo. E Coloeus o Corvus Monedula non è altrettanto simpatico.
Le taccole così dette abitano la torre campanaria qui accanto, e questa è l'unica nota positiva dell'abitare nei pressi di questi monumenti al fastidio, inesauribili fonti di disturbo della quiete pubblica e personale del cittadino; un tempo pensavo che tutti i campanili del mondo dovrebbero essere abbattuti, ma oggi mi contenterei di togliere le campane perché gli inquilini di questi odiosi edifici falliformi simboleggianti l'Abuso Ecclesiastico sono pur sempre adorabili, che siano taccole o piccioni; 
Conoscendo questi fatti, lascio all'immaginazione del lettore decidere il motivo per cui ho scelto questo come ID sul web...

Oggi Food is Free Project pubblica questa bella immagine scattata da John Jack Anderson ad Austin, Texas, dove si marcia contro la Monsanto:


Questa versione "ridimensionata" della mia Utopia Vegetale, del Paradiso Terrestre dal quale ogni cittadino è esiliato, è quanto di più prossimo all'idea di una Civiltà che si possa dir tale, quella dove chiunque camminando per le vie di una città si possa sfamare e dissetare liberamente, senza dover usare dei "biglietti di banca" per farlo, e senza nemmeno tutti quei pericoli che corriamo abitualmente acquistando cibi nei supermercati; un'idea talmente paradossale, quest'ultima, che nessuno sembra più in grado di riconoscerne l'assurdità. Ma come possiamo vedere qui sopra, non è così. A dispetto delle apparenze sempre detestabili, quelle mass-mediatiche, che riflettono sempre e soltanto il volere dei governanti, anche (e soprattutto) nelle città degli USA si sta espandendo questa "coscienza naturale", che inevitabilmente si può esprimere soltanto attraverso il "regno vegetale"; così come la nostra stessa vita, e quella di ogni altro "animale" che sono  possibili solo grazie al "verde naturale" su questo pianeta.

Tanto per cambiare, questa versione Ispanica di una citazione dall'opera "The China Study" viene pubblicata dal Marco Antonio Regil, personaggio pubblico "L.A. based" malgrado il nome alquanto Latino:


Ovvero "LATTE E CANCRO; la caseina, che corrisponde all'87% di tutte le proteine del latte vaccino, causa lo sviluppo delle tre tappe di TUTTI i tipi di cancro. Dal cancro del fegato, al cancro della mammella, fino a quello generato dal consumo di aflatossine." -- Dr. T. Campbell, scienziato di fama internazionale e specialista in cancro e nutrizione. Libro "The China Study" Cap. 3 "Appagare il cancro"."

( Le aflatossine sono altamente tossiche e sono ritenute essere tra le sostanze più cancerogene esistenti - Wikipedia -- n.d.t.)

Queste pubblicate da Campbell nel suo best-seller, e che oggi vengono diffuse da ogni serio nutrizionista malgrado il SILENZIO imposto sull'argomento, anche e soprattutto sotto forma di disinformazione, sono nozioni che rivelano la natura MALIGNA del sistema militar-industriale; un giorno, forse, gli abitanti di "Terra" leggeranno queste informazioni con cognizione di causa naturale -e non artificiale- e resteranno inorriditi vedendo come il Consumatore veniva avvelenato ogni giorno, come di fatto era complice dello stesso sistema che lo avvelenava quotidianamente, e in fondo l'esecutore materiale e capitale di sé stesso, grazie alle sue abitudini alimentari fatali.
Quei futuri lettori delle cronache nere dell'umanità, che ovviamente oggi hanno tutto il CANDORE del latte (artificialmente sbiancato) potranno piangere oppure ridere di tanta ignoranza e tanta inumana avidità ma, per il momento, queste informazioni non partecipano ufficialmente dello scibile concesso al consumatore medio, sono "alternative", e come tali degne soltanto di ogni dubbio possibile da parte del lettore.

La pausa-pranzo del blogger domenicale oggi prevede il mio piatto preferito. Lo chiamano "insalata"... ed è ora di prepararla!!

-- Un piatto di insalata di ortaggi (oggi con lattuga e lattughino, pomodoro cuore di bue, cipolla rossa, germe di fagiolo mung, e zenzero) e un piatto di insalata di frutta (fragola, albicocca, pesca), conditi con succo di limone; un pranzo da re, che mi ricorda quei fumetti in cui il banchetto faraonico viene illustrato con abbondanza di frutta più o meno esotica... 
E' un senso di appagamento naturalmente meraviglioso, senza alcuna "pesantezza" malgrado l'abbondanza stagionale delle portate: la mia ipotesi è che non avendo (non cercandole!!!) alternative alla sua intossicazione quotidiana, il consumatore scambi quella pesantezza, che è dovuta alle reazioni naturali del suo organismo alle prese con delle sostanze nocive, con il senso della sazietà, e quindi si nutra in genere fino a che non è abbastanza intossicato rispetto alla sua media diaria; il che è sempre, sicuramente, troppo.

Ho concluso che nulla -tantomeno il sesso- può restituire al consumatore moderno una idea basilare del benessere che, attenendosi alle regole mortali dell'alimentazione "piramidale", gli è stato precluso in partenza, non dalla nascita, ma dallo svezzamento dal latte materno in favore di quello vaccino, attraverso un percorso di pappe zuccherate, di cadaveri omogeneizzati, di preparati industriali e merendine con una sillaba di troppo (se non fosse chiaro, la sillaba è "en") che ne faranno un perfetto consumatore alimentare e quindi, prima o poi, un cliente farmaceutico e/o un paziente ospedaliero.

Foto postata oggi A. Bells Howard, con la didascalia "uno fra i tanti orti-giardino che stanno spuntando in tutta la città":


che è molto evidentemente negli USA, anche se non ne conosco l'ubicazione esatta, quindi non è in Italia, e per certo non è QUI, dove risiede il blogger... Ma mi aiuta a espandere la mia idea di Civiltà con la C maiuscola, in un mondo dove l'alimentazione è un problema a tutti gli effetti, ad ogni livello, in ogni ceto sociale, in ogni paese, in un modo o nell'altro; tra gente che muore di fame, di cancro, di colesterolo, in realtà il cibo dovrebbe essere l'ultimo dei nostri problemi, perché NATURALMENTE non mancherebbe mai, per nessuno di noi; ma soltanto quello vero, quello  che nutre e non intossica, quello che nasce e cresce dalla terra; e quindi sarebbe opportuno identificare positivamente il concetto stesso di una Civiltà con quello di una associazione umana in grado di sostenere senza alcun limite il benessere di ogni individuo, semplicemente sfruttando le risorse naturali, e dove entrando in una città, lungo le strade, chiunque possa liberarsi del momentaneo fastidio della fame; immagino se ogni anno, nel giardino davanti a casa nostra, crescessero cento chili di pomodori, chi avrebbe dei problemi nel renderli accessibili al passante affamato, visto che -come ogni cosa in natura- questo prodotto è rapidamente deperibile, e se ne può soltanto godere approfittando della buona stagione? E ancora mi chiedo, in un mondo simile potrebbe mai esistere chi ruba, chi fa incetta di qualcosa che domani sarà solo un mucchio di rifiuti?

(l'immagine pubblicata da Green Renaissance il 06.03.2014 esprime l'idea con questa immagine:


Ovviamente, no: seguendo i Principi Naturali, compresi quelli che riguardano i cicli stagionali (c'è un motivo per cui la zucca cresce in inverno e il cocomero in estate, ed è un motivo che può riguardare soltanto chi consuma tali frutti) non abbiamo modo di sbagliare; la "natura" --l'organismo planetario-- a differenza dell'uomo, sa esattamente cosa fare, e lo fa sempre perfettamente; dovremmo soltanto assecondarla, rispettarla, osservarla e ammirarla, dovremmo semplicemente VIVERLA, per vivere pienamente quella che sarebbe finalmente degna di essere chiamata Vita. Il che è più o meno impensabile per il cittadino moderno; ad es. adesso è domenica, il Sole splende alto, e c'è di meglio da fare che scrivere un post.

giovedì 22 maggio 2014

OFF-STREAM

Oggi The Mind Unleashed pubblica questo:


ovvero: ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA
E' un "gioco di parole" che il mio lettore è ormai abituato a leggere nei miei blogs, e anche se è ben rappresentato dal "moderno focolare" che irradia nei salotti di tutto il mondo, non è certamente l'unica arma di tale portata: in generale ogni mass-medium lo è, a partire dal Medium Maiuscolo che è la letteratura; per quanto mi riguarda, la scelta cromatica qui è attagliata al soggetto; 
attraverso la "iscrizione" ai giusti "gruppi" su Facebook la mia distrazione quotidiana è perlomeno limitata ai miei interessi personali, in primis la natura; 
ieri ho condivisa questa immagine della mia nuova amichetta, soprannominata con grande originalità "Kitty":


La micia è sempre molto felice di vedermi, e di farsi lisciare il pelo; la sua reazione alle mie carezze è incontenibile, deve rotolarsi a terra e, al culmine del piacere felino, non può resistere a mordicchiarmi la mano mentre con i piedi fa quella cosa che solo i gatti sanno fare -- questo:


E' un momento di dolorosa adorabilità.

Diffusa dagli intrepidi postatori di Facebook, l'informazione diviene un'arma della controffensiva popolare contro i leviatani dell'editoria, i produttori cinematografici e i network televisivi; da questo punto di vista -quello del blogger- internet mantiene intatto tutto il suo potere quasi-incontrollabile come strumento di informazione "alternativa", ovvero in opposizione alle fandonie ufficiali, che interessano in vario grado ogni aspetto della nostra vita quotidiana; ancora una volta, pesco dal flusso:

Veganism is the Future pubblica questa immagine:


consigliando a chiunque veda un ape tramortita a terra di rifocillarla con un goccio di acqua & zucchero che -a detta del postatore- restituirà immediatamente le forze per riprendere il volo.
Consigli per gli acquisti:


Perché l'essere tanto ignoranti da mangiare cadaveri, malgrado l'ovvia repulsione per questa idea, si può forse perdonare; mangiare cadaveri geneticamente modificati, e tritati in una ricetta contenente più numeri che lettere, è quel tipo di ignoranza che, se non è possibile far di meglio, dovremmo perlomeno lasciarla dove sta, al suo Paese, agli "Americani"... Cioè, a tutti quei wasichu ("visi pallidi") che adesso abitano quelle terre selvagge e maledette.

Sospendo momentaneamente il mio flusso mediatico, con questo ironico botta-e-risposta che è un tipico esempio della mia raffiniata stupidità, non di meno diffonde il messaggio importantissimo del Gruppo No Caccia; il commento di Jack Daw è il mio perché -per quanto se ne dica- Jack Daw sono io:


Il film di oggi è un piccolo capolavoro misconosciuto

The Great McGinty di P. Sturges (1940)
☻☻☻+

un ritratto senza tempo del baraccone politico, preso al volo dal morto-di-fame del titolo


che inizia la carriera politica dal fondo più basso, come elettore a pagamento, facente le veci dei morti; poi assunto come "recupero crediti" dal boss della città, con la faccia inconfondibile di Akim Tamiroff

(che fu Joe Grandi in Touch of Evil del 1958)
as The Boss

che riconosce il suo potenziale come aitante burattino, e lo sponsorizza nella sua scalata al successo


in cui viene coinvolta anche la segretaria del boss, donna dalle strabilianti acconciature

Muriel Angelus as Catherine

che per questioni di immagine si improvvisa Mrs. McGinty;
memorabile la sequenza in cui il neo-sindaco sposato di fresco scopre che la moglie ha già due figli a carico


seguita dalla prima pagina del quotidiano


in cui compare la famigliola al completo;
Il Boss conosce il gioco, e continua a scommettere su McGinty sostenendo la sua candidatura come governatore dello stato; le regole sono semplici, bastano monetine e i biglietti di banca


un po' di messinscena


e tante parole:


anche scritte


Per quanto mi riguarda, il funzionamento del motore di quello che gli anglofoni chiamano "political circus" non mi era mai apparso tanto chiaramente illustrato come in questa pellicola, che si meritò pienamente l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale nel '41; da sindaco della città a governatore dello Stato, mr. Nessuno si ritrova improvvisamente a contemplare il proprio potere con l'insana idea di poterlo utilizzare davvero per il bene comune, una fantasia suggerita dalla gentile consorte, donna dalle chiome lucenti di aulico splendore;


alloggiato in una piccola reggia con la sua ex-complice e neo-amante, due pargoletti adorabili (da un padre) e una bassottina dotata di cuccia mobile


il Grande McGinty se l'è già goduta abbastanza da superare la muraglia dell'egoismo, e da poter sperare di condividere il benessere da cui è stato circondato, quando un ciuffo bianco è ormai evidente tra i suoi capelli impomatati (e posticci)


Non occorre uno dei miei consueti "spoiler" per il futuro spettatore, il film stesso infatti è raccontato da un più canuto McGinty che fa il barman in una anonima "banana republic" in cui si è rifugiato in esilio


ma è facile dimenticarsene durante il lungo flashback che è di fatto il film, e il ritorno alla realtà filmica dopo la carriera parabolica di questo eroe dimenticato è un momento di rara intensità cinematografica;
il film di Sturges è notevole anche per la bravura di tutto il cast, con un trio di grandi protagonisti

che Wikipedia definisce "inexpensive stars" (stelle economiche)

in cui primeggia senz'altro l'Irlandese Brian Donlevy, un personaggio affascinante che ho scoperto su IMDB come interprete di una vita quantomeno avventurosa, e del quale i due interessi principali suggeriscono l'estrema peculiarità: scrivere poesie e cercare oro.


The Great McGinty è un piccolo grande film con alcune scenette davvero divertenti, una storia d'amore quantomeno originale, e probabilmente uno dei più onesti ritratti del mondo politico, una qualità che non è limitata al 1942, ma all'intera storia del cinema; insomma, quando viene definita "satira politica" significa che al contrario di quello che si vede in TV, o nei film "realisti", c'è del vero...

Come è evidente dalla quantità di screenshots, una nota di merito speciale va al DoP William C. Mellor -Oscar per A Place in The Sun (1951) e The Diary of Anna Frank (1959) (più uno alla carriera) che è grande nel dipingere il baraccone irrefrenabile dei politicanti


così come le intime atmosfere dei quadretti familiari su un set stranamente elegante e sofisticato per una produzione di quell'epoca, e di quel Paese:




The Great McGinty ha anche un titolo Britannico:

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/1/1f/Great_McGinty_poster.jpg

P.S.: e con BROWNIE

!!!

lunedì 19 maggio 2014

Robots e Cinegioco

Concordo con la sig.na Albarn, sul fatto che l'ultimo disco di papà sia "un po' lento, un po' noioso", come ha recentemente rivelato l'Autore in una intervista televisiva -- questa:


ma come lei, mi ci sto abituando;
per il blogger è inevitabile il rimando al "cambio di marea" (Sea Change) di Beck anche perché lui, assieme ai Gorillaz, sono stati + o meno l'unica alternativa musicale alla mia propria musica (virtuale) nell'ultimo decennio; anche nel caso di Sea Change, un album lento, dalle sonorità essenziali (e dagli arrangiamenti barocchi) lo shock per gli ascoltatori abituali del "vecchio", scalmanato, multi-strumentale, sperimentale e divertente Beck, era stato grave, in qualche caso fatale -- nel senso che qualcuno poi aveva evitato di ascoltarlo;
Everyday Robots è quanto di più lontano dalla elettrizzante, spumeggiante bolgia melodica e multimediale dei Gorillaz; è un disco "intimo", dai toni pacati (con l'eccezione di Parakeet e Mr. Tembo) e  dove l'unica vera sorpresa è l'assenza di sorprese, del genere a cui eravamo stati ben abituati dalla "band virtuale" di Albarn & C.; sono canzonette precise, piuttosto classiche,  leggere all'ascolto ma densamente intrise di una malinconia puerile che ricorda inevitabilmente i sobborghi londinesi in cui l'Autore è cresciuto, e che hanno ispirate le varie composizioni di quest'opera; come quel panorama, il disco non è esattamente un giubileo, e ne riflette lo spirito essenzialmente triste, e di una mestizia squisitamente anglosassone con la quale anch'io sono cresciuto musicalmente, dai tempi di Joy Division, The Cure, The Banshees, Mass, The Smiths, e via darkeggiando;
l'esperienza Gorillaz si avverte soprattutto nell'uso di drum machine e percussioni "alternative", assieme a qualche discreta diavoleria elettronica mimetizzata nei morbidi tappeti sonori, e questa è anche l'unica sorta di legame con il passato della new wave Britannica; e di nuovo, come per "Sea Change" sarebbe riduttivo classificare il lavoro di Albarn con un'etichetta di genere, come "folk" o "pop"; il bello della cosa è che sono pure e semplici canzoni; una volta inquadrato il personaggio, lo scenario, e il contesto, l'esito è sicuramente apprezzabile a livello tecnico, melodico e storico -- l'ennesima "svolta" dell'ex-Blur, nella speranza sempre più viva di una "Phase 4" dei fenomenali Gorillaz;
io sono rimasto subito incantato dalla bellezza straziante di Hostiles, la seconda canzone in elenco;  e, come un vecchio giradischi, rimango incantato su quella traccia mentre il disco si ripete in loop durante le mie giornate;


per quanto mi riguarda, è bello risentire una voce che a me sembra quella di un 2D cresciuto, con quella inconfondibile S posticcia (dovuta al misterioso incidente odontoiatrico di Albarn), e con qualcosa di completamente diverso da suonare e cantare; anche se non mi fa battere il piede, è una presenza sempre piacevole nella mia vita.


The Lego Movie di P. Lord e C. Miller (2014)
☻☻

e


Pompeii di P.W.S. Anderson (2014)
☻☻

ricadono nella categoria dei films della domenica; non per il tono festivo, o festoso, ma perché sono entrambi prodotti per l'intrattenimento di massa, titoli che un serio guardatore di films non prenderebbe mai in considerazione di giovedì, e tantomeno di lunedì;


l'Australiano finto-infantile The Lego Movie insiste allegramente sulla linea comico-cinica post-yiddish inaugurata (e mantenuta a lungo) nel settore finto-infantile da The Simpsons (e degenerata nel toilet humor di South Park, altra specialità kosher), qui mantenuto entro i limiti della decenza per non giocarsi la più grossa fetta di pubblico, i veri Utenti Lego, che sono ancora oggi i bambini (!) ; è la solita impresa per salvare l'universo, che in questo caso ha la particolarità di essere chiuso in una soffitta;


il film è una riproduzione interamente digitale dell'universo Lego, deliberatamente e minuziosamente "falsata" per sembrare stop-motion animation, un effetto ottenuto anche con l'assenza di sfocature da movimento
questa è la prima volta di Morgan "Prezzemolo" Freeman in un film animato, e bisogna ammettere che la sua calda, profonda - ormai ESTREMAMENTE familiare, e meme ufficiale dal 2012:


per lo spettatore anglofono-- voce in un ruolo comico (as Vitruvius) è uno dei pregi maggiori del film; non so chi lo abbia doppiato nella ver.It., ma non mi interessa poi tanto, sicuramente non è un personaggio famoso nell'universo come Morgan Freeman;


la sceneggiatura attinge addirittura da Gli Uccelli di Aristofane e malgrado la prevedibilità di una storia con l'uomo comune (il costruttore Emmet) al quale capita di fronteggiare le forze del male, incarnate dal perfido Lord Business (Will Ferrell), evita se non altro tutta la stereotipia annessa, anche grazie alla infinità varietà di personaggi e ambienti offerti dalla industria Danese produttrice dei variopinti mattoncini, con cui tutti abbiamo costruita parte della nostra infanzia;


compaiono nel cast Batman, Han Solo, Chewbacca e l'originale Threepio doppiato da Anthony Daniels, i Teenage Mutant Ninja Turtles, e una carrettata di svariati personaggi che sono stati a suo tempo miniaturizzati e plastificati per la gioia di grandi e piccini;
per un amante della stop-motion animation, questo film è soprattutto un "fake"; ben riuscito, ma non per questo meno falso; e stranamente questa sua qualità potrebbe non essere del tutto negativa; 
divertente fino alla fine, ma non "da ridere";


Pompeii è una produzione Tedesco-Canadese firmata da tale Paul W.S. Anderson, il quale ha affermato: "Se lavori su un soggetto che ha dei fans sfegatati, allora ci sarà una discussione infinita su quello che hai fatto di giusto o di sbagliato. In un certo senso non c'è modo di accontentare i fans ossessivi, è del tutto impossibile."
Probabilmente lo disse a proposito di Resident Evil (2002) o Resident Evil Afterlife (2010), o forse di Alien Vs.Predator (2004), ma adesso ci chiediamo: chi non è un fan sfegatato di Pompeii?
Qui le vicende romantiche del robusto Milo


(l'atletico Kit Harrington, che vanta antenati illustri, e un fisico cinematografico senza trucchi), gladiatore professionista in cerca di vendetta di cui si invaghisce la figlia-di-papà Cassia (la poco Patrizia Emily Browning) insidiata dal perfido Senatore Romano Corvus (SIC -- Kiefer Sutherland) 


vanno di pari passo con i movimenti tellurici, prodromo della famosa eruzione; inevitabilmente, alla catastrofe come scioglimento del dramma (o "climax") corrisponde la catastrofe naturale, riprodotta con larghezza di mezzi digitali 


in alcune sequenze di spettacolare efficacia; o efficace spettacolarità, che in fondo è lo stesso;


non c'è altro da segnalare, oltre il fuoco, le fiamme e i crolli digitalmente riprodotti con estremo realismo, in questo connubio tra Spartacus e 2012, che fra gli strani accenti dei vari personaggi sul set (gli attori) l'accuratezza impossibile della ricostruzione storica, politica ed estetica dell'epoca


ricorda da vicino i classici "peplum" della vecchia Hollywood, solo un tantinello più "forte", e con tanti gigabytes in più; il vulcano che erutta c'è, manca solo il mais ibrido.