lunedì 6 gennaio 2014

Cronache filmiche

In


Container di Lukas Moodysson (2006)
☻☻☻
la vocina miagolante della strana Jena Malone segue e conduce, o affianca il bizzarro flusso-di-coscienza di un grassone travestito 

(Peter Lorentzon) 

e strafatto che non crede di essere un grassone travestito e strafatto, e penosamente fruga nel proprio vomito mentale in una serie di visioni rutilanti, livide, emaciate, sbrindellate, gay e radioattive, finanche toccanti; 


ma che scorrono tutte, ipnoticamente, con le parole sussurrate dall'attrice che scrosciano lievi con un accento cinematico, delicate e ripugnanti tra il "gossip" sulle  "celebrities" e il delirio religioso, attraverso pensieri lisergici e crassi che rivelano l'entità aborale della fonte, la sua organicità sintetica assieme all'idea ossessiva, pulsante, nauseante, irresistibile, di ciò che non si può contenere in alcun modo;


da cui, il titolo;


definirlo "film" è eccessivo e riduttivo nel contempo, è una sequenza di tableaux vivent e nature moribonde, piuttosto random, ma tutti ugualmente sofferti e coerenti nel loro fluire; Container è bislaccheria genuina e patologicamente artistica, una esperienza filmica estremamente intima e intimamente vacua, come l'uteroscopia di una collina; 


Container è il diario di un povero patetico anonimo pazzo (Svedese) che per qualche misterioso motivo riflette la condizione umana in una luce stranamente familiare a tutti, come la ricorrente immagine dei ravioli


che per qualche motivo mi hanno ricordate le formiche di Buñuel; forse perché sono solo un povero patetico anonimo pazzo (Italiano) che insiste a non ingrassare e a non travestirsi da donna, malgrado le infinite occasioni offerte dalla vita; ma i ravioli non li toccherei nemmeno con un bastone di 12 metri;


Container è anche, evidentemente, suggestivo e fonte di ispirazione, quanto basta per farne un post semi-poetico in stile flusso-di-coscienza, il cui concetto stesso descrive l'esperienza umana, dello spettatore uni-versale e, nel caso del blogger, di lettore di sé stesso;

scena preferita: le gocce che cadono verso l'alto
un filmino (di 72') non facile, ma nemmeno così difficile da non poter essere apprezzato dallo spettatore medio; il critico professionista Leslie Felperin di Variety --ho scoperto poi-- lo ha definito "[A] mesmerizing cinematic box of tricks.", e direi che l'aggettivo "mesmerizzante", assai poco utilizzato nel Belpaese, è molto più adatto alla descrizione dell'opera, del mio banale "ipnotico"; per questo Leslie Felperin scrive per Variety, e io su un blog;

e con Lui:




Elysium di N. Blomkamp
è stata una delusione cocente, dopo l'esordio dell'autore sudafricano con il brillante District 9; il tema è ancora il sacrifizio dell'eroe-per-caso, anche qui gravemente contaminato dalla tecnologia onnipotente nella forma di un esoscheletro da combattimento, ma la "star" 


Matt Damon rivela le sue vere doti recitative solo quando si tratta di imitare Matthew McConaughey, e la sua antagonista orbitale (e 2 volte premio Oscar) Jodie Foster, con il suo accento mid-atlantic posticcio non migliora certo la situazione; 

nessuna donna può avere dei polpacci simili, nella realtà
non credo che D9 avrebbe potuto passare per un brutto film nemmeno con Matt Damon protagonista (e la Foster nel ruolo dell'e.t.) però qui lui fa la parte della beffa oltre il danno; 


un film senz'anima, un mero prodotto dell'intrattenimento, costoso e vuoto, che sembra aver stroncato sul nascere il talento di Blomkamp e indispettiti ulteriormente tutti i bloggers cinefili del mondo, che avevano accolto il suo precedente lavoro come una delle più interessanti "variazioni sul tema" nel genere fantascientifico.

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