Boyhood di R. Linklater (2014)
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è un film da vedere; che mi risulti è anche uno dei pochi, tra quelli usciti recentemente; ciò che si può trovare qui tra la prima
e l'ultima sequenza
(dove si sfonda la quarta parete in questo fotogramma)
è molto più di quanto si veda e si senta durante l'esperienza filmica, prodotta durante i 12 anni cruciali della "gioventù" del titolo, così come nelle quasi tre ore della proiezione lo spettatore adulto troverà di che riflettere senza prestare particolare attenzione alla propria attività introspettiva; il film fluisce come solo i film di Linklater possono fare, e durante questo lungo istante che rappresenta quasi l'intera vita dell'attore protagonista abbiamo la possibilità di guardarci allo specchio attraverso le epoche;
Patricia Arquette as Mom è una grande professionista, e la presenza familiare dell'interprete della saga di "Before" Ethan Hawke (as Dad, e potenziale erede del progetto) completa un quadro sontuoso e vibrante nella sua semplicità, dove l'autore mantiene la propria essenzialità stilistica proiettandola oltre il tempo e lo spazio del set; un grande ritratto della "America" contemporanea, in uno dei migliori titoli del 2014.
Linklater si riconferma, dopo qualche dubbio --ma anche dopo un vero capolavoro del cinema come Before Sunrise-- uno dei più interessanti autori del cinema statunitense, una sorta di versione "soft" del genio cinematico Texano incarnato da Matthew Barney.
Ancora una volta l'intimismo essenzialista di Linklater con le sue "vite quotidiane" sfiora le più alte vette della cinematografia, qui attraverso il tema della "formazione" che per tutti noi prosegue verso l'ignota destinazione della forma. Una nota merita anche il protagonista Ellar Coltrane, la cui ordinarietà e spontaneità sono indispensabili all'insieme; è senz'altro lui il ragazzo che tutti noi potremmo esser stati, in qualche film del passato.
In Texas.
Si consiglia molto vivamente la versione in lingua originale.
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