Autómata di G. Ibáñez (2014)
che si riassume nell'aggettivo phony; e
We are what we are di J. Mickle (2013)
per il quale non sto a cercare un aggettivo; non sono riuscito a vedere nemmeno
Detektiv Downs di B. Breien (2013)
(dove il detective del titolo è affetto dalla sindrome di Down) ma questo soltanto perché il film è recitato in Norvegese, e sul web si trovano sì dei sottotitoli in lingue meno ostiche, ma non meno straniere per il blogger; una visione forse rimandata;
invece questa sera ho visto finalmente
Hercules di R. Clements, J. Musker (1997)
che a quasi vent'anni dalla sua uscita sembra essere un film di cent'anni fa, è una delle peggiori produzioni Disney mai viste, e l'unico motivo per menzionarlo oltre al salto del sasso erculeo qui sopra, che ci rimanda, balzellon balzelloni , al post di questa notte, è la rappresentazione del semidio "from zero to hero", dove la divinità viene dipinta in termini alquanto mondani; addirittura hollywoodiani:
le impronte nel cemento
la bevanda firmata
le scarpe "allusive"
i soldoni
anche in versione "express"
il merchandising
gli autografi
per una folla di "fans" ricalcata su quella psicotica (e muliebre) affetta da beatlesmania;
così viene raffigurata la fama e la gloria di quello che non dovrebbe essere un semplice divo, ma un dio; ovviamente questo non fa alcuna differenza in un prodotto hollywoodiano, e specialmente in questo prodotto dal gusto marcatamente kosher; speriamo che ne faccia qualcuna nella mente dei piccoli utenti multimediali che si ritroveranno a guardare questa roba.
La morte splende nei cieli:
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