giovedì 24 luglio 2014

Cine, casa e chiesa

Il film, dice l'autore del soggetto originale Pat Rushin, docente alla University of Central Florida, è ispirato al libro Ecclesiaste (קֹהֶלֶת, Qoheleth) dell'Antico Testamento; il protagonista si chiama -guarda caso- Qohen, almeno nei dialoghi e nei titoli di coda, mentre Mr. Rushin lo chiama Cohen - o così viene riportato nella sua intervista sul sito universitario - כֹּהֵן, kōhēn in ebraico significa prete, e Mr. Qohen vive in una chiesa:

The Zero Therom di T. Gilliam (2014)
☻☻-

ma non è un prete, è un asceta informatico, un dipendente del Sistema alla disperata ricerca dell'equazione che dimostrerà l'inenza universale, la nullità di ogni cosa


in una sorta di videogame algebri-cubista


vive nell'attesa di una misteriosa chiamata telefonica che dovrebbe rivelargli il Senso della Vita (perché non ha mai visto il film dei Monty Python); il connubio dell'ambiente malsano con una simile attività ha ridotto il prete virtuale ad una larva umana:


Qohen Leth è un personaggio del "trittico orwelliano" di Gilliam totalmente succube della buro-tecnocrazia, dissociato e pelato, erede di Sam Lowry in Brazil (1984) e di James Cole in 12 Monkeys (1995); almeno dal punto di vista del casting è il peggiore dei tre, e per quanto mi riguarda anche il personaggio è il meno interessante; la trilogia ha seguita l'inevitabile tendenza generale verso il basso, malgrado il tono "metafisico" che presto assume la vicenda; 


e anche la fotografia di Nicola Pecorini, che aveva già lavorato con Gilliam in Fear and Loathing in Las Vegas, The Brothers Grimm, Tideland, The Imaginarium of Doctor Parnassus non regge il confronto con il lavoro di Pratt, DoP nei primi due capitoli, che sono entrambi veri capolavori della cinematografia, mentre questa sembra essere una riproduzione del microcosmo distopico di Gilliam, ottenuta con un trucco digitale di qualche tipo;


soprattutto economico; Rumeno, addirittura;

il cast è aggravato dalla presenza della giuliva Mélanie Thierry, che essendo Francese d'origine non può essere un'oca, ma al di là del phisique du rôle che ha convinto il regista ci lascia intravvedere la tragica verità sulle femmine dei Galli

e poco altro;

con Matt Damon in un quasi-cameo canuto, e camaleontico


TZT risente più della mancanza di qualche idea originale che non di un grosso budget; il genio del (relativamente) giovane regista ed esuberante autore dell'orwelliano Brazil e quello adattato anche grazie ai Peoples (Blade Runner) dal geniale slideshow filmico di Chris Marker per 12 Monkeys qui sembra sintetizzato in laboratorio (da un professore, in effetti) e realizzato in poco tempo, con tutta la passione necessaria a finirlo in fretta con pochi soldi, ma nient'altro. Una delusione più o meno completa per il blogger, a partire dalla scelta di Waltz, che mi era sembrato perfetto come avvocato di Big Pharma (in Carnage) e qui rasenta la perfezione interpretando un personaggio prossimo alla nullità


ma non è verosimile che questo tizio possa coinvolgermi in qualche modo;

per me è un vero mistero come costui sia divenuto un attore famoso e come abbia lavorato con alcuni registi tra i più famosi, da Tarantino a Polansky; il film di Gilliam non fa che infittire questo mistero, anche se devo ammettere che non mi immagino nemmeno di poterlo svelare.

Sono degne di nota le sequenze ambientate sulla spiaggia virtuale, di estrema artificialità pseudonirica


che ricordano il finale di Contact (1997) dove pure il lido era (forse) parte della sfera ideale...
Un rimando interessante, ma non lo considero un buon motivo per guardare questo film.

Ho rivisto infine dopo decenni

North to Alaska di Henri Leopold "Henry Hathaway" de Fiennes (1960)
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legato in qualche modo alle mie memorie infantili come "Pugni, pupe e pepite"; credo di averlo visto al cinema in qualche riedizione successiva con il babbo, in un luogo molto prossimo all'oblio


un film che si lascia (ri)vedere tutto d'un fiato, grande cinema ben stagionato e bello colorato,

122' di gajo, genuino intrettenimento per tutta la famiglia





da (ri)vedere se capita, ma non da scriverci sopra

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