Mercoledì, 13 Agosto 2014... Piove ancora, e molto, ed è una triste riconferma del record di bruttezza che si merita questa "estate" tra virgolette, durante la quale abbiamo visto poco Sole e tanta acqua; e un po' di ghiaccio, purtroppo anche fuori dai nostri bicchieri.
..."la mas fina" è "vegan fiendly"!!!
....ma purtroppo è anche un prodotto molto più tossico dell'alcool stesso*
Non si è ancora spenta l'eco dei lamenti internazionali per la scomparsa dell'attore Robin Williams, "ebreo onorario" che pur non essendo un eletto-da-dio conosceva bene lo
yiddish, e si dice avesse partecipato a
14 Bar Mitzvahs in un anno, quando viene annunciata dalla stampa la notizia della morte di Betty Joan "Lauren Bacall" Perske, la quale si è spenta ieri alla tenera età di 93 anni; la Bacall era più che
ebrea, era
cugina di Shimon Peres. In questo periodo mi sto rendendo conto della completa inutilità della mia opera di "revisore" cinematografico, il che coincide con un momento di estrema decadenza delle produzioni d'Oltreoceano, aggravato dalla consueta scarsità di valide alternative sul mercato cinematografico; gli ultimi titoli sono:
sul quale cui ho scritto a suo tempo:
Gli
attraversamenti, le
sezioni sceniche nell'opera di Anderson sono la vera innovazione cinematica del XXI sec. e -come abbiamo già notato altrove- risalgono a memorie infantili e/o scolastiche dell'era cenozoica, dagli antichi prototipi grafici firmati da un altro eletto-da-dio come Joe Kaufman (da non confondere con il
candidato della Florida soprannominato "Crazy Joe") autore di tante "esplosioni didattiche" degli anni '60 e '70 in tante edizioni di successo ;
probabilmente a sua volta Kaufman fu "ispirato" dal magico Richard Scarry per i suoi "esplosi abitati";
un "attraversamento" verticale
l'idea di trovarsi all'interno della costruzione filmica è continuamente rinnovata dagli esplosi virtuali (e mai digitali) delle scene che vengono attraversate dai personaggi così come dalla MdP; questa sorta di carrellata metafisica è la firma dell'autore, e per quanto mi riguarda l'unico aspetto davvero pregevole, nell'insieme dell'opera di Anderson, che con questo "movimento scenico", cioè passando da un set all'altro in ogni direzione e con ogni mezzo, ri-definisce ogni volta l'infinità del suo set;
attraversamento pedonale, ma in interni lignei di ottima fattura;
è una evoluzione del "set infinito" nello spaziotempo di Rope (1948), poi assurto alla sublime esperienza oniromimica della steady cam di Russian Ark, e che vediamo abitualmente, parzialmente, ma in ogni contesto possibile, rivelato nei films di Anderson come nelle sezioni grafiche degli autori di libri per bambini (grandi e piccoli);
con i suoi dialoghi finemente cesellati, dove l'oratoria cortese ed erudita e la dizione impeccabile di Fiennes, che ricordiamo improvvisamente Shakesperiano di gran fama (Tony Award per l'Amleto a Broadway) è tanto più spassosa quanto più è fuori luogo
e le sue inquadrature di alta pasticceria visiva
appunto
sostenuto da un ritmo avvincente codificato in melodie frenetiche e a tratti sincopate, TGHB è una gioia inattesa, che è il genere migliore di sorpresa anche in campo cinematografico; il miglior Anderson, oserei dire, dai tempi di Zissou;
(un attraversamento aereo)
ma purtroppo è anche la
ennesima celebrazione dell'ebreità stessa, liberamente adattata da due lavori di
Stefan Zweig, e incarnata da Fiennes as M.Gustave, che di fatto un personaggio simbiotico, o
mosaico; è un vecchio trucco giudeo che funzionò con l'antico e il nuovo testamento, e fra gli innumerevoli esempi di più recente memoria non possiamo dimenticare il successo del "cult movie"
The Big Lebowsky dei Coen, vero e proprio mosaico filmico "molto liberamente ispirato" da due racconti di Marlowe;
purtroppo è la solita ammucchiata di delizie strettamente kosher, dove
Fiennes -il raro Gentile di buon casato e ottima educazione (probabilmente l'unico Gentile nel cast)- nei panni dell'avventuriero e direttore dell'impresa del titolo, è la reincarnazione della loquacità corrosiva e della battuta cronometrica delle vecchie
screwball comedies Americane, cosa che ovviamente
TGBH non è;
è un film di Wes Anderson, nè americano, nè tantomeno screwball; Anderson è sempre il primo della classe, i suoi film sono (quasi) tutti precisi e impeccabili come teorie di carillons animati la cui azione si svolge con esattezza millimetrica durante il film, tra costumi sgargianti e panorami acrilici, tableaux vivents post-modernistici, puri esercizi di stile che sono un piacere da guardare, da ascoltare, finanche da seguire, e soltanto con i titoli di coda si palesa la tragica verità, che per due ore sei stato a guardare un altro carillon animato di Wes Anderson;
l'eccezione delle risate che strappano alcune sequenze conferma la regola delle commedie di Anderson, che possono farti
sorridere e spesso anche
ridacchiare, ma è assai raro che un umorismo tanto raffinato, tanto "geek", possa indurre lo spettatore ad emettere una reale, rumorosa (LOL) e volgare risata; se non che sia un genuino
geek di qualche genere, e nel caso del
blogger "cinema" e "computer" sono ugualmente validi come attributi dell'epiteto; ma qui c'è poco da ridere anche per me;
un "attraversamento prospettico"
il film attraversa la nostra mente con il suo dedalo di preziose cornici riempite di personaggi balzani
che ribadiscono la quasi-esclusività
kosher del menù, e vedute di un microcosmo
vintage, glassato, completo di modelli in scala e "
Così si conclude la nota critica del blogger, che proseguo ora: "dopo aver passate due ore a guardare un altro carillon animato di Wes Anderson, potresti anche evitare di buttare altre due ore scrivendo di quanto ti sia apparso disperatamente inutile questo evento". Non che la utilità sia un fattore indispensabile nella mia economia filosofica, ma questa è sempre la peggiore delle attività a cui si possa dedicare non dico lo scrittore, ma l'utente alfabetico in generale; e non è un caso che mi ci sia dedicato per tanto tempo, tralasciando completamente le mie velleità artistiche anche in questo settore dell'immaginario; l'esperienza di questa visione, come di ogni Anderson è paragonabile a quella di un film di Sirk; difficilmente si possono trovare dei motivi di vero interesse nella narrazione, o nel tema trattato, e non è quel tipo di difficoltà che uno spettatore qualunque dovrebbe affrontare;
ancora a proposito di comici che non fanno più ridere perché sono morti:
è, più che un film vero e proprio, un
reperto audiovisivo che testimonia l'unica esperienza registica di Mitch Hedberg,
stand comedian surrealista noto per la sua grave tossicodipendenza cronica, puntualmente ribadita durante i suoi show con la battuta "I used to do drugs. I still do, but I used to, too" (
Wikipedia) che potete riascoltare facilmente su Youtube in uno dei tanti video con le sue
performances. Quello di Hedberg (figlio di una
Schimscha) non è quello che chiamerei "genio comico", ma piuttosto la conseguenza più o meno comica, e più o meno tragica, di un serio tossicomane e tossicofilo, all'interno della faceta industria dell'intrattenimento Americano; anche la morte prematura (V. John Belushi) per abusi continuati è un fattore contemplato nel quadro;
come è sempre stato, il vero talento dello
stand comedian si può apprezzare sempre e soltanto quando sta -appunto- in piedi su un palco a parlare, e questo è vero anche nel caso di Hedberg, che purtroppo non è più qui con noi a condividere le
cose buone della vita; tra le quali non includo il suo "film". Consiglio quindi a chiunque possa essere interessato al
personaggio di cercare il suo nome su Youtube, evitando questo
conato filmico;
infine la cosa più interessante della vita di Hedberg è che dopo il rinvenimento del suo corpo in un hotel del New Jersey, avvenuto il 29 Maggio 2005, la notizia del decesso fu diffusa il 1° Aprile e, inevitabilmente,
nessuno la prese "sul serio". Questa è forse in assoluto la migliore uscita di scena per un "personaggio comico".
Di
ho già scritto fin troppo.
Fidatevi solo del vostro birraiolo locale!