Un altro screener:
Inside Llewyn Davis di J. & E. Coen (2013)
☻☻
ovvero "l'uomo che cammina nella neve con i mocassini malgrado ci siano parti del selciato asciutte"; è una scelta come un'altra, che definisce la statura morale e la tempra dell'uomo d'arte;
film "liberamente ispirato" alla figura del cantautore folk "Irlandese di Brooklyn" dal nome Olandese, Dave Van Ronk, autore dell'album
e interpretato dal nasuto Oscar Isaac
(nome tipicamente Guatemalteco)
che purtroppo non è l'unico ad esibirsi in qualche ballata nostalgica semi-country; questo va oltre il mio limite di sopportazione, e lo skipping ripetuto ma inevitabile ha compromessa l'esperienza filmica, tutto sommato non-elettrizzante, di questo ritratto della mediocrità umana e musicale della scena folk del Greenwich Village all'inizio degli anni '60 in generale, e di questo meschino personaggio in particolare;
con F. Murray Abraham
John Goodman
Justin Timberlake (!)
e soprattutto lui:
stranamente, non c'è nulla di questo film che potrei dire mi sia davvero piaciuto -a parte qualche passaggio semi-subliminale e quasi-musicale nella colonna sonora- ma se c'era qualcosa che poteva toccarmi il cuore era l'immagine in soggettiva del risveglio del protagonista con un gatto rosso che gli fa le fusa sul petto, e ovviamente è proprio quella che ho avuta qui, per due volte;
(per gli strazianti dettagli, V. blog. prec.)
la sub-storiella di Ulysses il gatto, e della sua mini-odissea, è stata aggiunta dai Coen che a loro dire non avevano nemmeno notato il gatto sulla copertina del disco di cui sopra; e io mi chiedo, è possibile che due tizi che di mestiere fanno il cinema (dove le immagini hanno un certo valore, o significato, presumibilmente) non abbiano notato uno di due soggetti, in una fotografia grande come un LP?? Ma devo anche aggiungere, in conclusione, che dopo aver visto questo film la cosa non mi stupisce più di tanto.
Se non altro, hanno avuta la buona idea di mettere qualcuno degno di essere guardato sul set;
che non è quello umanoide;
se il nome dei Coen è incontrovertibilmente "ebreo", l'autore di questo
si chiama Goldman, che non è da meno; Magic è un vecchio film che non ero mai riuscito a vedere per intero; l'ho fatto oggi, continuando a depennare titoli dalla mia watchlist su IMDB, per ritrovare il giovane Anthony Hopkins
(un personaggio evidentemente molto disturbato)
intrattenitore alle prese con la sua mania omicida manifesta attraverso il suo fantoccio da ventriloquo
che minaccia il suo piano di fuga con la vecchia fiamma; nel cast compare l'immortale Burgess Meredith
(1907-1997)
e l'uomo-prezzemolo degli anni '70, Ed Lauter
qui con l'unico sorriso del film, e forse della sua carriera;
un film incredibilmente datato, dove la presunta bravura di Hopkins lascia spazio ad ogni ragionevole dubbio sulla sua reale condizione, che a parer mio è palesemente instabile in ogni sua prova cinematografica; fors' anche spaventosa, ma tutt'altro che paurosa, anche nel contesto mystery-pseudo-soprannaturale del film, protagonista il pupazzo assassino a nome Fats:
era ben più sinistro quello di Hitchcok Presents:
a anche quelli di Fun & Fancy Free (1947) che stranamente davano proprio questa sera in TV...
Questa "coincidenza" mi ricorda tutte quelle occorse in questi giorni attorno al termine conundrum; si potrebbe dire che la nostra esistenza non è altro; ma si potrebbe anche dire l'opposto, ovviamente.
Siamo i sinistri fantocci di un ventriloquio subcosciente tra noi stessi e qualunque interlocutore possibile.
O meno.
O meno.
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